"Assurdo”, fa Carlo, il primo attore, rivolto con sguardo incredulo verso la piccola platea; “quest'uomo dice delle cose che
appaiono assolutamente prive di senso". La piccola rappresentazione si
svolge in orario tardo pomeridiano dentro un cinema periferico, alla presenza
solamente di qualche spettatore isolato seduto
qua e là, e i due personaggi, in abiti ordinari,
che si muovono sopra un palco improvvisato, di fatto poco più che una pedana,
recitando un testo scritto ultimamente proprio per loro, un lavoro ideato da un
giovanotto silenzioso, terribilmente solitario. “Non cerchi una facile
solidarietà in chi la sta ascoltando”, interviene Piero, l’altro attore; “di fatto soltanto persone sensibili come me
possono aver intuito al meglio quale possa essere il vero futuro”. Il testo
lascia una pausa riflessiva in questo punto del dialogo, come se tutti i
presenti dovessero pensare attentamente a
ciò che possono aspettarsi dal loro domani. “Una sola parola può muoversi nell’aria per mostrarci quale sia la nuova strada, e noi
dobbiamo poco per volta iniziare a farci i conti”. Carlo indietreggia a questa
frase, e pare stagliarsi sul suo volto come un’espressione di scetticismo e di terrore, ma poi, riprendendo con un attimo di calma
la propria migliore razionalità, torna a ribadire ciò che ha già spiegato
in precedenza: “ma non può essere il cannibalismo la
soluzione finale di tutti i nostri problemi”, dice adesso con voce quasi
spaurita.
“Lo so che appare qualcosa di inaudito”, dice allora Piero; “però
ci stiamo tutti avviando poco per volta lungo questa strada, anche se non ce ne
siamo resi conto, e per certi versi appare già come la soluzione più facile per tanti problemi che per il momento restano irrisolti”.
Qualcuno tra i presenti fa qualche colpo di
tosse, e magari viene inteso dagli altri come un giustificato accenno di conati di vomito, forse in considerazione
diretta del crudo argomento che fin qui è
stato trattato. “Quindi le cose dovrebbero inderogabilmente e poco per
volta peggiorare per tutti quanti; fino a giungere così a questi estremi”,
riprende quindi Carlo con la voce adesso di chi cerca di prendere le cose con
uno spirito più ironico, tutto sommato, tanto che quasi potrebbe d’improvviso
scoppiare a ridere nervosamente delle scempiaggini che secondo lui ha già
ascoltato. “Ormai siamo in molti votati al sacrificio”, dice poi qualcuno in
platea, “tanto vale a un certo punto dividere l’umanità tra chi può
effettivamente proseguire, e coloro che al contrario serviranno per i primi
soltanto come proteine”. Lo stesso Piero resta colpito da questa frase, come se
il senso stesso delle proprie battute recitate fino a questo momento, non
portasse esattamente ad un’identica risoluzione. “Siamo già divisi, se ci
pensiamo attentamente”, prosegue Piero con voce più incerta. “Non ci sarà
neppure la necessità di inserire ulteriori differenze tra la gente. Verranno
fuori da sé le cose, al momento in cui la violenza non sarà più giudicata come un
elemento del tutto estraneo alla cultura”.
Si
chiude il sipario, si accendono le luci generali della sala, e le persone
dentro la scarna platea si alzano in piedi con una certa titubanza, forse anche
perché nessuno si aspettava che il lavoro teatrale a cui tutti loro hanno
assistito, terminasse in questa maniera così repentina, lasciando dietro di sé
diversi punti interrogativi, come invece ha fatto. Due o tre persone
applaudono, ma si capisce bene, in almeno tutti gli altri, come non ci sia
proprio niente da festeggiare o da acclamare, se non essere giunti alla fine ad
una inevitabile certezza, che condanna tutti loro alla conoscenza senza scampo
di ciò che sarà. Piero e Carlo, ancora sopra al palco, una volta riaperta
parzialmente la stoffa scura, si stringono la mano mentre ringraziano quasi
senza sorridere, come a mostrare una solidarietà fasulla, una sceneggiata,
questa stessa, all’interno dell’interpretazione fornita a tutti gli intervenuti
di un testo difficile, dal sapore amaro tremendamente inesorabile. Infine
ognuno se ne va, osservando con insistenza, ma senza farsi scorgere, chi ha
avuto più vicino per tutto il tempo di questa strana commedia, come per cercare
già in qualche altro spettatore il nemico più indicato.
Bruno
Magnolfi
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