"Toglietevi dai
piedi", grida qualcuno indirizzando la sua voce potente verso le luci dei
riflettori già accesi, nonostante splenda nel cielo il sole pallido della tarda mattinata invernale,
restando in mezzo al gruppo di gente che si è affollata sulla piazza giusto per
curiosare attorno agli attori e gli operatori cinematografici, pronti per
girare probabilmente alcune scene di una nuova pellicola tra i vicoli del loro
paese. In molti si voltano un attimo per vedere chi mai può essere a prendersi
una libertà di quel genere, però altrettanti ignorano completamente quelle
parole riecheggianti nell’aria tra le pietre delle loro vecchie case, come se
il forte interesse di vedere dal vivo delle facce già note, apprezzate altre
volte sugli schermi da chissà quante persone oltre loro, non fosse
assolutamente scalfito da qualche imbecille nascosto da spalle e da teste degli
altri paesani, e che non ha niente di meglio da fare se non venire fin qui a urlare le sue stupidaggini.
Poi si fa avanti un tizio mai visto,
con un cappellaccio calcato sopra la testa, e dice in maniera sprezzante, ma
con voce adesso maggiormente pacata, che nessuno tra tutti coloro che assistono
oggi a queste riprese, può dichiararsi soddisfatto di veder sbattere, in
qualche semplice titolo di cinema, o sui manifesti che pubblicizzano una
pellicola magari di tipo scadente, le magnifiche case e le storiche strade della
propria cittadina, il suo passato, le sue stesse radici, con estrema facilità
riaggiustate e trasformate nella maniera più adatta ad essere recepite da
tutti, e quindi senz’altro falsificate del suo vero vissuto. “Si tratta di
dignità”, dice alla fine con un guizzo di personalismo che impone a tutti un
certo silenzio garbato e riflessivo. Poi va via, senza che venga fermato da
nessuno tra tutti coloro che hanno ascoltato le sue parole, ma lasciando dietro
di sé come un’aria sospesa, quasi una domanda oscillante subito sopra le teste
di chi è ancora là. Gli operatori prendono tempo, sembrano adesso molto
impegnati a sistemare le loro apparecchiature tecnologiche, ma i pochi attori
rimasti al centro della scena immaginata, sembrano quasi scontenti di quella
situazione, tanto da mostrarsi poco propensi ad andare avanti nel loro
lavoro.
Qualcuno tra la piccola folla di
persone in cerchio si volta e va via, ed anche coloro che insistono a rimanere
piantati su quel selciato, non sembrano attendersi ormai chissà cosa da quella
situazione. Si è rotto l'incanto del primo momento, della iniziale curiosità,
tanto vale adesso mostrarsi sempre più indifferenti a qualcosa che in fondo può
accadere ogni giorno, perfino in un piccolo paese come il loro. L'uomo che ha
mostrato così preponderante il proprio parere adesso sembra sparito, nessuno è
riuscito neppure a riconoscerlo sotto al cappello che ne copriva la faccia, ma
forse si dice già sottovoce che era soltanto un provocatore senza grandi
pretese, oppure qualcuno pagato dallo stesso regista per far allontanare la
calca, anche se quello che ha detto senza riferirsi a qualcuno in particolare
non era parso ai presenti del tutto sbagliato. Si profila un debole momento di
sospensione, quasi un lasciare prendere del tempo a chiunque, ma infine vanno
via tutti quanti, di malavoglia, alla spicciolata, parlottando tra loro senza
mostrare troppe opinioni, mentre tengono le mani dentro le tasche, e le spalle
strette di chi in fondo non si interessa di nulla. Attori ed operatori sembrano
quasi sconcertati, hanno l'abitudine di tenere a bada masse di persone
festanti, e a quell'indifferenza improvvisa non sembrano per niente assuefatti.
“Non c’è niente da dire”, fa uno che
resta fino all’ultimo con un leggero sorriso negli occhi; “il carattere di
questi paesani emerge sempre da tante piccole cose, anche quando meno te lo
aspetti, persino nella diffusa capacità indiscussa di mostrarsi tutti delle
stupide pecore allo sguardo di chi si attenderebbe tutt’altro. Però è solo una
finta, un tranello, un semplice tenersi a distanza”.
Bruno Magnolfi
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