"Sto bene",
dico al telefono. "Davvero; ho qui tutto quello che mi serve, in questo
mio appartamento; c'è il frigo pieno ed anche qualsiasi altra cosa mi possa permettere di tirare ancora avanti molto
tempo, soprattutto per dedicarmi interamente alle
cose che mi piacciono di più: leggere,
studiare, lavorare, prendermi cura di me stesso, seguire in piena calma i miei
interessi; e in questo modo posso anche
lasciare queste giornate, in apparenza
piuttosto vuote, trascorrere tranquillamente come sempre, senza provare dentro
di me alcuna nevrosi, muovendomi avanti e indietro in queste tre semplici
stanze in cui comunque non manca proprio nulla, e dove riesco persino a
sentirmi soddisfatto, almeno certe volte". Poi passo ai saluti e chiudo la telefonata, quindi riprendo il mio lavoro di
progettista sul grande elaboratore grafico a due schermi, senza alcuna
angoscia, anzi con leggerezza. In fondo cosa m’importa
di stare in uno studio pieno di persone che vanno e che vengono, quando ognuna
di loro poi è pronta a gettare più di uno sguardo indagatore su ciò che stai
facendo, magari senza dire neppure una parola,
né in bene né in male, forse anche per evitare malintesi qualche volta. Non
serve a nulla comunque avere a disposizione l'opinione degli altri se questa
resta muta, e non è utile che tutti abbiano gli occhi per scrutare ciò su cui
stai lavorando se poi non ti è possibile assolutamente fidarti del loro parere,
almeno quando viene manifestato. Meglio da soli, e magari sbagliare inconsapevolmente.
Accendo la radio, e qualcuno da là
dentro dice subito che il futuro in questo momento resta molto incerto, le cose
non sembrano andare troppo bene, e molte persone ogni giorno stanno rimanendo
indietro, sempre più indietro, inevitabilmente. Lo capisco ciò che viene
spiegato così bene, non è un momento facile, e quando si verificano accadimenti
di questo genere sono sempre i più deboli a rimetterci, e poi anche chi non è
capace di cambiare, di modificare il proprio pensiero, di stare al passo con
gli avvenimenti insomma. Lo studio di progettazione di cui faccio parte mi
invia regolarmente i lavori di cui occuparmi, e salvo qualche telefonata di
chiarimento, il resto scorre bene e senza grandi intoppi. Certo, rifletto, le
cose potrebbero ingarbugliarsi da un momento all'altro, gli affidamenti e le
gare farsi più rarefatte, il flusso di richieste venire meno poco per volta.
Potrei restare senza commesse anche da un attimo a quello seguente, ed allora
sarei costretto a mendicare il lavoro, spedire richieste, raccomandarmi a chi
conosco, umiliarmi nell’accettare impegni inferiori, proprio come già stanno
facendo in molti anche nel mio settore.
Non posso pensare però a tutti gli
inconvenienti possibili, potrei perdere la serenità che mi serve per portare
avanti ciò a cui sto lavorando, e quindi mi sento subito spinto a spegnere la
radio, anche se poi mi limito a sintonizzarla su un diverso canale che in
questo momento trasmette della musica. Devo stare tranquillo, mi ripeto ogni
volta che qualcosa mi innervosisce; cercare la maniera migliore per sentirmi a
mio agio, anche se non posso certo uscire dal mio appartamento. Cosa importa,
continuo a ripetermi, ho delle vetrate luminose che mi permettono una vista
stupenda su tutta questa città, mi ritrovo continuamente immerso in mezzo alla
gente, alle case, alla fretta del traffico, alle attività che ciascun individuo
si trova ad intraprendere in ogni momento, anche se non posso realmente
vederle. Immagino però tutti quanti di corsa, come è sempre stato peraltro,
alla ricerca continua di soluzioni possibili per i propri bisogni, come è
giusto che sia.
Poi vado a sedermi sulla mia
poltrona preferita, e resto lì a lungo ad immaginare i prossimi mesi e gli
anni: silenzio, rarefazione, la città che sempre più diviene semplicemente un
contenitore di individualità, senza quasi permettere più alcuno scambio, mentre
le persone deboli vagano per strada cercando di ritrovare le abitudini di un
tempo, i luoghi ora deserti deputati una volta ad incontrarsi. Suona il telefono,
mi alzo di colpo, corro a rispondere: non c’è nessuno dall’altra parte, forse è
stato un errore, rifletto, probabilmente avvengono ogni tanto dei falsi
contatti nella rete che gestisce le comunicazioni. Devo progettare penso, è il
mio mestiere. Devo avere fiducia, spingermi in avanti, immaginare la mia città
ancora viva, capace di raccogliere ogni stimolo per provare a migliorarsi. Il
resto verrà da solo, poco per volta, ne sono certo.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento