La
settimana scorsa, in uno dei miei rari momenti in cui ero impegnato a
riordinare le cartelle di archivio in agenzia, è arrivata da noi una vecchia amica
di Elisabetta, forse addirittura una sua compagna di studi dei tempi del liceo,
una persona che personalmente non avevo mai visto, ma della quale avevo sentito
parlare qualche volta di sfuggita dalla mia collega, considerato che, a
giudicare dal carattere scostante che lei si ritrova, penso non debba avere
molte altre frequentazioni. Comunque sia, Elisabetta mi ha subito presentato questa
Carla, una ragazzona di mezza età piuttosto sorridente, con un’espressione però
piuttosto anonima, che mi ha chiesto subito a titolo di cortesia come mi andassero
le cose, sottintendendo, forse per apparire spiritosa, la difficoltà di dover condividere
ogni giorno il lavoro con una persona proprio come la sua amica. Inizialmente
ho detto che a me tutto procedeva piuttosto bene, giocando sull’immediato a
mostrare una certa indifferenza verso quegli aspetti spigolosi del carattere di
Elisabetta, ma subito dopo mi è presa la voglia sincera di spiegarle per filo e
per segno quanto fosse effettivamente difficile andare d’accordo con una persona
come la mia collega di lavoro, tanto da trovarmi a passare delle ore intere in
ufficio senza rivolgerle la parola pur di non ricevere da lei risposte secche e
spiacevoli. Naturalmente si è formato immediatamente un attimo di imbarazzato
silenzio, a cui la stessa Elisabetta ha però posto fine rivolgendosi a Carla
con degli argomenti di cui non ero al corrente.
Poco
dopo, comunque, sono uscite senza fretta dal nostro piccolo ufficio,
probabilmente per andarsene in un caffè a parlare con più intimità tra di loro,
ed io, rimasto solo, mi sono reso conto soltanto in quel momento di aver
scatenato con ogni probabilità l’ira funesta di Elisabetta, che con ogni
certezza, per come la conosco, da quel momento in avanti avrebbe reso l’aria
della nostra piccola agenzia ancora più irrespirabile di quanto fosse mai
stata. Invece è tornata da sola dopo una buona mezz’ora, con gli occhi bassi e
la faccia un po’ afflitta. Si è seduta alla propria scrivania, ha ripreso a
fare qualcosa al suo terminale, poi mi ha detto con voce bassa e contrita che
le dispiaceva che per colpa sua le cose tra di noi non andassero bene. Non ho
trovato niente da risponderle, anche perché forse le mie parole erano state un
po’ troppo irruente e addirittura fuori luogo nel rivolgermi alla sua amica,
però non avrei mai immaginato di andare a colpire in questa maniera la parte
più fragile della sua sensibilità. Ho lasciato in aria una pausa, ma infine mi
sono scusato, accampando a mia discolpa il nervosismo accumulato ultimamente
per ragioni non di lavoro.
A
questo punto, per quello che potevo prevedere, le cose apparivano oramai quasi
appianate, e probabilmente di quell’argomento non ne avremmo neppure parlato
più. Tutt’altro. <<Forse, anche se lavoriamo insieme da anni, la nostra
conoscenza reciproca è davvero rimasta molto superficiale>>, ha detto
Elisabetta all’improvviso stupendomi. <<Magari si tratta soltanto di
lasciare qualche volta il nostro lavoro dentro un cassetto della scrivania, e
parlare tra di noi con maggiore schiettezza>>. Ho annuito, mi sentivo
meravigliato e persino confuso di quello che stava uscendo fuori dalla sua
bocca, ma non ho trovato assolutamente niente per cui oppormi a quei suoi
propositi. Poco dopo dovevo uscire per un appuntamento con un cliente, così ho
preso la mia borsa con dentro le carte, ho indossato la giacca, ed ho detto
soltanto che sarei ripassato nel pomeriggio, e lei a quel punto mi ha guardato
un momento, probabilmente sforzandosi, solo per dire: <<va bene, mi
troverai qui, come sempre>>, usando una dolcezza di espressione di cui
non credevo neppure potesse disporre. Così mi sono incamminato da solo sul
marciapiede con la testa completamente confusa, anche perché riflettevo adesso che
la nuova versione del comportamento di Elisabetta nei miei confronti, non
poteva improvvisamente, con una semplice manciata di parole, annullare di colpo
quell’avversione che al contrario in tante altre occasioni aveva manifestato.
Poi
mi sono guardato attorno, e in mezzo a tutto quel gran movimento di persone lungo
le strade principali di una città come la nostra nell’ora di punta, ho intravisto
tanta solitudine, anche se mi è parsa una riflessione di cui facilmente sorridere,
tanto che all’improvviso mi è apparsa addirittura priva di qualsiasi senso. Forse
Elisabetta ha tirato fuori in questo caso un lato della sua contorta sincerità,
ho pensato; o magari ha soltanto riconosciuto finalmente la propria incapacità
a trasmettere agli altri le proprie emozioni.
Bruno
Magnolfi
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