sabato 31 maggio 2025

Trascorrere del tempo.


            Aldo Ferretti è un tipo taciturno, ombroso, in qualsiasi situazione sempre con la faccia seria, a meno che non beva un bicchiere o due insieme agli amici giù all’osteria, dove in genere fa una sosta non troppo lunga prima di rientrare a casa sua poco prima dell’ora di cena. Le sue mani sono sempre scure, macchiate, certe volte anche unte di grasso, ed anche se le lava a lungo nel lavabo della sua officina, non tornano mai del colore naturale della carnagione. Lui ripara le macchine, cambia l’olio al motore, si prodiga a riparare tutto quello che per usura è destinato a rompersi, e nel paese chiunque possieda un’automobile, di qualsiasi marca essa sia, prima o dopo fa un salto da lui. Certe volte si ritrova anche a pulire gli iniettori del motore di qualche macchina agricola, o a fare delle semplici saldature sui sostegni di un carro, di un erpice, o anche di un vomero, anche se ciò che più lo appassiona è mettere a punto e a regime qualche motore un po’ scarburato, oppure andato completamente fuori di sintonia, tanto da farsi dire da qualcuno, in modo leggermente ironico, che solo lui in paese possiede delle preziose mani d’oro. Lavora, si rende utile per gli altri, trova comunque impossibile e deplorevole che ci siano delle persone che si disinteressano dei piccoli problemi dei propri concittadini, e che vivono nel proprio egoismo senza trovare la maniera migliore per rendersi utili. Per questo Aldo quasi non sopporta quel Toni Boi, suo cognato; perché lui sta a rimorchio degli altri, e mette in tavola i propri problemi senza contribuire mai a qualche soluzione.  

            Naturalmente tutti lo conoscono, qualcuno passa anche dalla sua officina solo per fare due chiacchiere, anche se Aldo Ferretti ascolta gli altri mentre lavora, ma difficilmente trova qualcosa da dire a sua volta. Le sue parole concrete sono le cose che compie, ciò che riesce a riparare o a mettere a punto, il resto secondo lui è soltanto un po’ d’aria di gola. Anche quando si ferma a fine orario nella solita bettola, certe volte con indosso ancora la sua tuta da lavoro, si beve un sorso di vino rosso in piedi al bancone e intanto ascolta chi sta dicendo qualcosa, come se quella fosse la sua naturale fonte di informazioni su come vanno le cose là attorno. Molto spesso qualcuno paga per lui la sua bevuta, ma per Aldo non fa differenza: lui tratta gli altri tutti alla stessa maniera, senza piegarsi a ringraziamenti o a comportamenti di favore nel momento in cui rimette il conto finale di qualche intervento compiuto sulla macchina di uno oppure di un altro. Se poi qualche sventurato che non segue troppo gli eventi del proprio paese gli chiede qualcosa su Toni Boi, lui non risponde, lascia che l’argomento decada, che ogni domanda trovi la propria risposta in colui che l’ha appena formulata. Se invece, mentre si trova nella piazzetta del paese ad ascoltare qualcuno, è proprio quel Toni Boi che si avvicina al gruppetto, allora, senza dire niente a nessuno, è subito pronto ad andarsene.  

            Non intende avere qualcosa a che fare con suo cognato, pur riconoscendo i suoi gravi problemi mentali; tuttavia, crede che in lui non esista un benché minimo briciolo di buon senso. Si lascia accudire, si accontenta della minestra che gli viene passata in una casa non sua, se ne sta da solo ogni sera nella propria stanzetta, semplicemente a sfogliare qualcuno dei suoi libri, e poi trascorre tutta la giornata girellando per le strade del paese senza combinare niente di niente. Secondo il suo parere è soltanto un parassita, considerando che di cervello ne avrebbe, e se solo volesse, potrebbe tranquillamente trovare un’occupazione leggera che lo riabiliti agi occhi di tutti i cittadini che lo conoscono. I libri a cui si dimostra tanto affezionato, poi, sono quelli che aveva collezionato quando era viva sua madre, che non gli faceva mancare mai niente, compresi quegli inutili volumi che adesso servono soltanto ad ingombrare l’appartamento in cui viene ospitato. La moglie di Aldo non vuole sentire suo marito quando dice qualcosa su suo fratello: sono stati piccoli assieme, loro due, hanno spartito una vita semplice da bambini, poi, quando lei si è sposata, lui è rimasto con la loro madre che intanto invecchiava, ed anche se Antonio fingeva di occuparsi di lei e di far funzionare la casa, in realtà aveva già cominciato a dare dei segni di scarso equilibrio mentale.

            Quando la loro madre è morta, a lui è venuto a mancare il fulcro attorno a cui girava tutta la propria giornata, ed anche se il suo più grande rifugio in quel momento era rimasto lo sprofondarsi nella lettura e nella consultazione di tutti quei libri che la mamma gli aveva permesso di comprare e ordinare a dozzine, ugualmente la sua mente non era riuscita a spingersi avanti e a superare quel lutto. Per questo, in considerazione di tutto, sua sorella si era vista costretta a rivolgersi a quella clinica dove Antonio, in periodi diversi e vicini tra loro, aveva trascorso proprio un sacco di tempo.     

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 29 maggio 2025

Opinione precisa.


            Spesso, noi del paese, ci fermiamo a parlare, o a discutere, insomma a dire la nostra, lì in piedi, subito fuori dall’osteria dove si gioca a carte e si beve qualcosa, e quasi sempre, mentre stiamo davanti al locale, ma senza dare noia a nessuno, e siamo tutti impegnati a dire le cose così come le pensiamo e come ci escono dalla bocca, ecco che arriva immancabilmente Toni Boi, come lo abbiamo soprannominato, che ci interrompe con i suoi urli e quegli strepiti quasi insensati. Da ragazzo era uno qualsiasi, Antonio si chiama, uno di noi, che stava forse sempre un po’ troppo attaccato alla gonna di sua madre, e non veniva mai a giocare con gli altri ragazzi della sua età, e tutti si pensava che fosse timido, che non avesse l’indole o il coraggio per buttarsi un po’ in fuori e mostrare davvero come era fatto. Non ci siamo mai preoccupati per lui, neppure un pochino, perché non dava l’impressione di essere uno diverso da tutti, uno che si sarebbe dimostrato quello che è oggi, un mezzo pazzo, una persona ormai adulta che non serve a niente e a nessuno, ed è solo capace di dare noia ai suoi concittadini. Già, perché Toni Boi ci viene vicino, in silenzio, si accosta al nostro gruppetto mentre siamo intenti a parlare di qualcosa e a scambiarci le nostre opinioni, e poi comincia ad urlare.

            Qualche volta l’ho tirato da una parte, gli ho chiesto: <<Ma che c’è? Cos’è che non ti va bene in quello che stiamo dicendo? Perché ci interrompi con i tuoi strepiti che non servono a niente?>>, ma lui non risponde in questi casi, anche se, quando si calma, spiega con poche parole che in pratica stiamo tutti sbagliando comportamento, e che l’unica maniera per salvarci da questa rotta di collisione quasi inevitabile per tutti quanti, è cercare di cambiare, e sforzarsi per essere migliori, magari abbandonando le proprie opinioni, e per far questo dobbiamo imparare ad essere critici, sia con noi stessi, che con tutti gli altri. Noi non sappiamo dove abbia imparato questi concetti, ma quelle volte che si mette a spiegarci le sue opinioni restiamo quasi sbalorditi, anche se naturalmente non possiamo essere d’accordo con lui. E poi preferiamo di gran lunga prenderlo in giro, battergli una mano su una spalla e chiedergli con ironia se in questo tratto di strada abbia trovato molte persone che si cono mostrate all’improvviso convinte delle idee che lui professa.

            Ma Toni Boi non ride, non riesce ad avere lo spirito che potremmo credere di instillargli; prende tutto sul serio, ci osserva solo di sfuggita con i suoi occhi sempre senza un punto preciso verso dove posare lo sguardo, e poi ripete la sua teoria: l’autocritica, il migliorarsi, la salvezza per il mondo, tutte cose che ormai abbiamo imparato a memoria dalla sua voce. Sappiamo tutti che da quando è morta sua madre lui non c’è più stato con la testa, e sappiamo pure che ha trascorso dei lunghi periodi in una clinica psichiatrica, dove purtroppo gli specialisti non riuscivano a fargli ritrovare un po’ di equilibrio mentale. Qualcuno tra di noi ha ancora paura dei suoi urli e delle sue sfuriate, ma in generale tutti si sono resi conto che non è affatto pericoloso, perché è soltanto fissato su certi argomenti, e secondo il suo parere tutti dovremo presto fare i conti con quello che afferma. Noi però non gli crediamo, alziamo le spalle e tiriamo avanti, facciamo dei sorrisetti di compatimento quando parla, oppure continuiamo a parlare tra noi, ma le sue parole difficilmente sono buttate là a caso, si sente benissimo che hanno un proprio senso, una base, quasi una filosofia che le sostiene.

            <<Non ci interessa migliorare>>, gli dice certe volte qualcuno di noi per stuzzicarlo. <<Potremo stare qui per anni a parlare e a discutere, dando dimostrazione di una cosa oppure dell’altra, portando degli esempi e richiamando alla mente fatti e situazioni già accadute nel passato o poco fa, ed ognuno alla fine rimarrebbe comunque della stessa opinione che aveva avuto fino ad un attimo fa, senza cambiare mai di una virgola>>. Si fa silenzio. <<Il fatto più importante di tutti>>, si cerca di spiegargli, <<è che ci sono sempre delle ragioni di fondo per cui una persona ha un’opinione sul mondo invece di un’altra, ed è impossibile che usando delle semplici parole si possa adesso scardinare quel proprio modo di vedere le cose>>. Toni Boi resta ancora in silenzio; ci guarda con quella sua maniera nervosa di girare gli occhi da ogni parte, poi si allontana di un passo, prende fiato, muove le braccia, e alla fine si mette ad urlare, come se gli avessimo detto che non c’è niente da fare, che nessuno potrà cambiare mai il proprio stato, e che l’unica maniera di stare al mondo è quella di adattarsi a quello che offre. Se ne va, senza salutare, come fa sempre, immerso nelle sue idee, nei suoi pensieri, nella sua strana capacità di osservare le cose e di farsene una sua precisa opinione.  

 

            Bruno Magnolfi

martedì 27 maggio 2025

Pensiamo all'attualità.


            Torno a casa mia. Cioè, a casa di mia sorella e di suo marito. Da quando sono uscito dalla clinica psichiatrica loro hanno preparato una stanzetta per me nel loro appartamento, ed io vado lì a dormire ogni sera, anche se durante il giorno spesso sono in giro ad ascoltare le persone che incontro. Non so quanto tempo sono rimasto nella clinica, credo parecchio, visto che in quel periodo sono successe un sacco di cose. Prima avevo una casa dove abitavo con mia madre. Ma lei si è ammalata di tumore al polmone, e nel giro di poco tempo se n’è andata, così io ho perso molto del mio equilibrio, e mia sorella mi ha fatto curare da alcuni specialisti in un ospedale di cui adesso non ricordo quasi nulla, neppure il nome. Comunque, prima dell’ora di cena torno sempre da mia sorella. Lei non parla mai di mia madre quando ci sono io in giro, probabilmente per la paura che solo a sentirla nominare a me prenda di nuovo una crisi, e anche tutte le fotografie della famiglia, che un tempo erano in bella vista sopra il ripiano di una cassettiera, sono improvvisamente sparite. Non ha importanza, credo, io quando sono nell’appartamento di mia sorella sto sempre per conto mio, in silenzio, spesso nella mia stanzetta. Mia sorella è capace di usare piccole dosi di autocritica, e quindi correggere i propri comportamenti, come nel caso delle fotografie e cose del genere. Suo marito no. Lui forse neppure mi sopporta, anche se intasca volentieri la mia piccola pensione di invalidità.

            <<Potrebbe anche lavorare, no?>>, dice certe volte a mia sorella con una voce sufficientemente alta da farsi sentire anche da me. A me sinceramente piacerebbe stare in un posto dove poter dare delle indicazioni alle persone che cercano un certo ufficio oppure che hanno da far sistemare una pratica. Ma mia sorella dice che è presto, dobbiamo aspettare che gli specialisti diano una loro risposta positiva su questa faccenda. Ed io sto in silenzio, e in casa non mi occupo praticamente di niente, più che altro per paura di sbagliare. Quando vado in giro sorrido a parecchi tra coloro che incontro, e certe volte mi lascio coinvolgere in qualche gruppetto dove stanno fermi a parlare e a discutere di qualche argomento. E quando qualcosa non mi sembra stia andando per il verso migliore, allora urlo. In molti mi conoscono, almeno di vista, sanno chi sono, e certe volte hanno già sentito la mia teoria sul possibile miglioramento del genere umano tramite la pulizia interiore dai pensieri e dai sentimenti peggiori. <<Tutti, dobbiamo impegnarci>>, dico urlando certe volte. <<Spurghiamoci da questo bisogno irrazionale di violenza>>, ripeto senza attendere neppure che qualcuno dica che è giusto quello che affermo, oppure no. Poi me ne vado, lascio alle mie spalle la mia opinione, il mio metodo per correggere poco per volta tutte le brutture che appaiono sempre più spesso, anche se sono quasi sicuro che nessuno mi prenderà troppo sul serio.

            Difficilmente mi capita di ridere. Certe volte qualcuno che incontro si mette a fare lo spiritoso e a girare verso di me delle battute poco edificanti sulle donne, oppure sulla miseria che opprime certe persone. Mi sembrano degli argomenti offensivi e privi di ogni significato, così neppure li prendo in considerazione. Non urlo, in questi casi, non lascio a nessuno la soddisfazione di farmi cadere in dei tranelli che non portano da alcuna parte. Mi volto e ignoro risolutamente chi cerca di dire cose del genere. Siamo tutti in una stessa barca, penso spesso, e dobbiamo trovare la maniera migliore per far procedere le cose in modo da stare tutti assieme senza che a qualcuno capiti di cadere al di fuori del bordo. Quando vado a fare i controlli periodici sulla mia salute, i medici si meravigliano sempre delle mie capacità di essere lucido e pronto con opinioni di questo genere. Ma certo, penso io, ho passato un lungo periodo di depressione, di incapacità a tirarmi fuori da quel grumo di pensieri negativi e pessimisti che non mi lasciavano procedere, ma poi ho recuperato, ed anche se non mi giudicano ancora abile per lavorare e svolgere attività ordinarie, ciò non significa che io non abbia ripreso a riflettere sul mondo così come facevo quando ero un ragazzo e stavo con la mia mamma.

            Ma nella piccola città dove viviamo è difficile far comprendere una cosa del genere a degli individui che sanno scaldarsi soltanto quando c’è da far emergere la propria opinione. Non riescono a capire che tutto deriva dalla loro incapacità nel mettere in forse quelle proprie stesse opinioni. Non si deve essere convinti di qualcosa senza aprirsi alla critica e accettare il fatto che è possibile sbagliare. Perché è soltanto così che possiamo trovare la sintesi di tutte le differenze che si sono accumulate negli anni tra di noi. Credo che si potrebbe persino chiudere gli occhi per qualche momento e azzerare tutto, senza ripensare alla storia o riferirsi a dei personaggi che hanno agito e vissuto in epoche diverse dalla nostra. Pensiamo all’attualità, dico certe volte. E poi basta. 

 

            Bruno Magnolfi

lunedì 26 maggio 2025

Non vogliono sentire.


            Qualche volta mi ritrovo ad urlare. Non perché desideri attirare l’attenzione su di me, quanto per segnalare agli altri la loro incapacità a correggere gli errori che compiono, come ad esempio vivere nella completa indifferenza di ciò da cui sono costantemente circondati. Mi interessa segnalare soprattutto il momento quando qualcuno si dimostra incapace di muovere una propria autocritica, perché credo che sia proprio così che le persone non migliorino mai, cioè evitando di analizzare i propri comportamenti e poi depurarli poco per volta da ciò che appare più deteriore. Spesso, perciò, quando mi accorgo che è esattamente ciò sta proprio capitando, allora urlo. Se mi dicessero che mi comporto sempre alla stessa maniera, sarei capace sicuramente di cambiare registro, di variare il mio atteggiamento, ma nessuno normalmente sembra neanche accorgersi dei miei segnali, e così tutto termina senza che avvenga effettivamente qualcosa di significativo. Va da sé che non ho molti amici. E le conoscenze che frequento ogni tanto non sono neppure sicuro che sia possibile considerarle delle vere amicizie. Anzi, se si esclude una vicina di casa con la quale mi fermo quando la incontro, ed il negoziante dei generi alimentari del mio quartiere, sempre in vena di spiritosaggini, non ho altre persone che di fatto si fermino a parlare con me e a chiedermi come vadano le cose. 

            Non ha molta importanza, il mondo deve migliorare, continuo a pensare, basta che ognuno riesca a comprendere cosa ci sia che non va nella propria giornata, quali siano gli aspetti da rivedere, i risvolti ai quali dare un deciso aggiornamento. Chi mi vede più spesso per strada, nel quartiere dove abito nella casa di mia sorella, ormai lo sa che a volte parlo da solo, e certe volte lo faccio a voce molto alta. Forse sorridono del mio comportamento, perché non si rendono conto che qualcuno deve pur prendersi la briga di segnalare le cose che non vanno per il verso giusto. Ad esempio, certe volte entro in una bettola poco distante da dove vivo, e lì ci trovo ogni volta dei tizi che parlano sempre di politica, come se fossero in grado solo parlandone di smuovere qualcosa negli alti vertici. Si scontrano, ognuno dice la propria, conservando la pretesa di essere dalla parte più giusta e di soffocare, con l’effluvio di parole che riescono a mettere insieme, l’opinione degli altri. Naturalmente dopo poco smettono, con la piena consapevolezza però che ognuno rimanga esattamente della stessa opinione di prima. Mi chiamano il matto, quando urlo verso di loro delle frasi a caso, quasi prive di senso, come imitando il loro comportamento, e poi però mi lasciano perdere.

            Non ci sarebbe bisogno di grandi discussioni, di chiacchiere continue sui soliti argomenti, e neanche di affidarsi a dei professionisti, e né di alcuna cura o medicina, vorrei dire a ciascuno, se solo si adottasse il mio metodo. Sarebbe sufficiente che ogni individuo svolgesse costantemente una sana e decisa autocritica su ciò che pensa, o che fa, o che crede più vero, o che addirittura si dimostra capace di sentire dentro di sé, per giungere facilmente ad un semplice progresso del proprio stato e anche di quello degli altri. Quando uscii dalla clinica psichiatrica, molti anni fa, provai a dirlo a tutti, a spiegare ad ogni persona che incontravo per strada come fosse facile questo metodo, ma nessuno a quei tempi mi prese mai troppo sul serio. Ma io rimango convinto di questo sistema, anche se riconosco sia molto più facile dichiararsi convinti di qualcosa e poi proseguire a mantenere costantemente la stessa opinione. Credo che lo scopo finale per tutti sia il progresso, il miglioramento delle condizioni di vita, la capacità di un mondo ottimista in grado di offrire a tutti le stesse opportunità, e di scartare poco per volta tutto ciò che appare assurdo e non utilizzabile.

Qualcuno nella solita bettola dice che queste sono solo utopie, e che tutto invariabilmente è destinato poco per volta a peggiorare, e prima o dopo saremo tutti costretti a rivivere anche gli incubi più terribili dell’umanità, e che l’unica cosa da fare è quella di prepararsi al peggio. Io non ci credo, sorrido quando sento quelle persone tra loro che parlano così. Ognuno deve migliorare sé stesso, penso; ognuno deve fare uno sforzo per rendersi più capace di accettare le idee altrui, e dare la possibilità di modificare quelle più sbagliate. Allora urlo. Prima cercano di calmarmi, di farmi smettere. Poi mi spingono lentamente fino alla porta, e quindi mi trascinano fuori, sulla strada, fuori da quella bettola, dove provoco meno fastidi. È tutto inutile penso, quello che cerco di spiegare è la pura verità. Queste persone dentro la bettola non vogliono sentirsi dire qualcosa da uno che è stato tanto tempo in una clinica psichiatrica, e allora mi rifiutano, mi mandano via, mi mettono in condizione di dare il meno fastidio possibile, ma in fondo vogliono solo che io faccia i miei urli sui loro comportamenti sbagliati da qualche altra parte, perché nessuno li vuole davvero sentire.

 

Bruno Magnolfi

martedì 20 maggio 2025

Anche di te.


Chissà, in tutto questo periodo, quanto è cambiata, mi chiedo. Probabilmente già in precedenza aveva iniziato ad essere sempre più distante da me, anche se io non mi ero accorto praticamente di nulla, almeno fino a quel confuso momento in cui aveva cominciato a non considerarmi quasi per niente. Un periodo incerto, per me. Per lei invece un periodo di scelte importanti, di desideri nascosti fino ad allora, ed improvvisamente affiorati di colpo alla superficie della sua volontà. Forse non la riconosco neppure quando la vedo, o magari è talmente freddo il suo comportamento nei miei confronti da lasciarmi la sensazione di una persona che io non abbia mai neppure conosciuto. Certo, un figlio cambia completamente qualsiasi prospettiva. Forse è proprio questo il divario più forte che si è stabilito adesso tra me e lei. In ogni caso, sono curioso di vedere questo bambino, e di osservare Monica mentre lo accudisce, lo culla, si prende cura di lui, insomma fa la sua mamma. In clinica mi hanno tolto anche i pensieri che mi potevano essere rimasti impigliati nella mente durante l’ultima volta che sono stato nel suo appartamento. Mi hanno spinto lontano, opacizzando nella mia testa tutta quella zona che ancora si occupava di lei. Adesso ho soltanto dei ricordi lontani nei suoi confronti, qualcosa che forse non è più neppure in relazione con Monica.

Credo mi piacerebbe comunque restare in buoni rapporti, farle una telefonata ogni tanto, parlarle del lavoro, dei colleghi, delle mie giornate, e poi chiederle della crescita del bambino, dei suoi progressi, delle piccole soddisfazioni che offre. Ma forse è meglio lasciare direttamente a Monica la scelta su quali vecchie conoscenze conservare oppure no, anche se io nei suoi confronti sarò sempre disponibile, non foss’altro in memoria di ciò che avrebbe potuto essere, e purtroppo non è stato. Non mi sento rassegnato a perseguire un’esistenza piatta e senza interessi, però sono pronto a non sacrificare niente di quel poco che mi è riuscito di coltivare nei periodi trascorsi. Ai miei genitori non ho detto che sarei andato a casa di Monica a far visita a lei e al suo bambino; forse non avrebbero compreso affatto il mio stato d’animo attuale, il mio bisogno di aggiornare i miei sentimenti, di dare uno sbocco a ciò che, pur lievemente, resta ancora acceso dentro di me. No, loro no; forse Monica potrebbe riuscire a capire qualcosa in questo momento di quello che provo, ma io non le parlerei mai di tutto questo, e di fronte a lei cercherei sempre e in ogni caso di sminuire qualsiasi riferimento ai miei sentimenti trascorsi, pur residuali.

Poi giungo alla base dell’elegante palazzo, parlo un attimo con il portiere che mi guarda con un certo sospetto, infine attendo immobile e in silenzio che lui citofoni alla governante di Monica, e che alla fine mi faccia segno di passare, e di usare l’ascensore di destra, quello che sale direttamente fino al vasto attico dove abita lei. Le porte automatiche si chiudono con un fruscio rilassante, e lo specchio di lato dentro la cabina metallica, impreziosita da qualche cornice in legno scuro, rimanda un’immagine di me che forse non sembra neppure del tutto autentica, come se stessi cercando di impersonare qualcuno che sicuramente non sono, anche se, subito dopo aver pensato una cosa del genere, mi giro di fianco, nel tentativo di superare un’idea così fuorviante. Sono quello che sono, cerco di riflettere, provando a convincermi che niente mi farà mai cambiare. Le porte automatiche, infine, si aprono con lo stesso identico fruscio, ed io esco dalla cabina, anche se all’improvviso non sono del tutto sicuro di aver fatto la cosa migliore possibile arrivando fin lì.

La governante mi accoglie, prende dalle mie mani il mazzo di fiori che ho portato per Monica e per l’occasione, ma la sua espressione non è rilassata, e forse prova sicuramente ancora qualche sospetto nei miei confronti. Poi mi fa strada verso l’ambiente che già conosco, dove Monica si mostra adesso presa nel ruolo di madre e di donna forse ferita, però capace di superare qualsiasi incidente. <<Buongiorno>>, dico quasi per automatismo, e lei si volta verso di me, si alza, prende la confezione di fiori dalle mani della governante, e li apprezza aspirandone il profumo con un sorriso. Poi torna a voltarsi verso Giacomo, dimostrando perfettamente che non c’è niente che possa distogliere ogni sua attenzione da quel bambino bello e sorridente, posizionato in mezzo ai tanti cuscini. <<Si vede, che è tuo figlio>>, le dico in un soffio. Lei si fa seria, mi ringrazia, mi dice qualcosa di quel bambino, me lo presenta, mi mostra tutto il suo amore che riesce a provare per quel suo figlio.

Quando, alla fine, dopo aver considerato ormai tutto quanto, decido che è meglio se vado, Monica fa un cenno alla sua governante, e mi accompagna fino alla porta: <<Puoi tornare, se ne avrai voglia>>, mi dice. <<In fondo, questo bambino, possiede sicuramente qualcosa anche di te>>.  

 

Bruno Magnolfi    

lunedì 19 maggio 2025

Verità manifesta.


            Giacomo cresce, e dato che sono trascorsi oramai alcuni mesi da quando è venuto alla luce, forse sta già formandosi un’idea abbastanza precisa su queste persone grandi che lo circondano e che appaiono tanto sicure di sé quando vengono certe volte a fargli dei larghi sorrisi e a toccargli i piedini o le mani. Se potesse già parlare direbbe sicuramente che è buffo vedere intorno una corte così colorata di persone che sembrano nuotare come dei pesci tropicali dentro un acquario; certi individui generalmente monotoni nei loro gesti, che imitano sempre una specie di vocina sgraziata e innaturale quando si riferiscono a lui. Verso la mamma, e quando è con lei, il suo pensiero invece è del tutto diverso: lei lo ha tenuto con sé quando ancora si muoveva solo leggermente nel buio, e Giacomo adesso però ne riconosce immediatamente la voce, i modi di fare, l’odore, ed ogni espressione della sua faccia, che resta quella più rassicurante di qualsiasi altra cosa, in un mondo dove probabilmente non c’è mai da stare troppo tranquilli. Non c’è da avere paura, si sta bene quando siamo circondati da affetto e da attenzioni, anche se probabilmente da qualche parte sembra già annidarsi maliziosa qualche piccola fregatura che prima o dopo sortirà sicuramente fuori a rompere almeno una parte di questo fantastico ma momentaneo incantesimo.

            Renato da tempo è tornato ad abitare nella casa dei propri genitori, e in seguito ha anche ripreso il suo solito mestiere di impiegato comunale; i colleghi lo hanno abbracciato, o meglio hanno sbattuto con attenzione una mano sulla sua spalla, come nel tentativo di congratularsi con lui per essere stato capace di uscire da una situazione sicuramente difficile, che con tutta evidenza lo ha messo alla prova, lo ha spinto quasi con cattiveria verso i limiti più estremi delle proprie certezze. Nessuno gli chiede niente di troppo preciso, almeno per adesso, e lo accolgono semplicemente come se il suo fosse un ritorno che tutti attendevano, e con grande interesse rivolgono a lui qualche domanda, pur con estrema semplicità: <<Come stai? Come va? Hai bisogno di qualcosa?>>, e Renato risponde cercando di sminuire la sua importanza, tirando fuori la sua solita timidezza, senza mai usare molte parole, anche se le domande che gli altri impiegati gli pongono servono soltanto a farlo parlare e a vedere come reagisce al cospetto dei colleghi e del suo luogo di lavoro dove dovrà ricominciare a trascorrere parecchie ore di ogni santa giornata. <<Mi sento bene, adesso>>, dice Renato alla fine; <<Non so neanche spiegare che cosa mi sia successo in tutto questo periodo, però sono sicuro di sentirmi bene in questo momento, ed è la cosa per me più importante di tutte>>.

            Trascorrono diversi giorni e tutto sembra riprendere l’andamento di sempre, tanto che a Renato, durante un giorno qualsiasi, una volta terminato il suo orario lavorativo e dopo essere uscito dal suo ufficio, viene voglia di fare una semplice telefonata a Monica. <<Ciao, non voglio disturbarti>>, le dice subito con voce bassa, <<però vorrei chiederti scusa, con il profondo del mio cuore. So di avere compiuto qualcosa di assurdo e di riprovevole, anche se mi trovavo al momento in una condizione di completa irrazionalità>>. Monica annuisce, lo lascia parlare, lo ascolta, comprende che forse non c’è alcun bisogno di conservare contro di lui un risentimento che forse non ha neppure mai provato del tutto. Ed alla fine restano quasi senza parole, ascoltando per un attimo il flebile ronzio della linea telefonica. <<Se vuoi, puoi venire a vedere mio figlio>>, gli dice lei all’improvviso, in uno slancio improvviso di generosità che anche lei non si sarebbe aspettata mai di proporre fino ad un attimo prima. Renato accetta, salirà sopra l’ascensore che porta fino all’appartamento di Monica nel pomeriggio del giorno seguente, le assicura, e poi la ringrazia, più volte, e infine aggiunge soltanto, misurando con un lieve tremore ogni parola, che ne sarà assolutamente felice.     

Poi, ognuno dei due riaggancia l’apparecchio. Anche Monica adesso si sente bene; le pare persino che il suo gesto di generosità sia qualcosa che lei prima o dopo doveva pur avanzare, e in ogni caso sente di non provare alcun timore adesso da parte di Renato, che le sembra anzi abbia assolutamente compreso e addirittura accettato in pieno la situazione attuale. Però in fondo lui resta il padre naturale di Giacomo, anche se non ne è consapevole, e quindi è assolutamente giusto che lui veda con i propri occhi ciò che in fondo è parte di sé. Prima o dopo qualcuno forse noterà anche una certa somiglianza nei tratti somatici di Renato con questo bambino, ma sarà solamente un caso, la combinazione fortuita di geni e di ormoni, niente di concreto da considerare o smentire da parte di Monica. L’umanità alla fine è composta da strane coincidenze, e qualcuno forse può leggere all’interno della propria fantasia ciò più gli appare con maggiore evidenza che ad altri, ma non sarà certo questa lettura delle cose a cambiare neppure di una virgola ciò che è stato già definito. Giacomo è un bambino nato da sua madre, e non si può certo contraddire una verità così manifesta.

 

Bruno Magnolfi  

sabato 17 maggio 2025

Nessun sostegno.


            Gli ex colleghi di Monica Moroni, negli Uffici Comunali attraverso i quali si gestiscono i Servizi Sociali dell’ente, in questo periodo si scambiano a mezza voce le ultime novità. <<È stata brava, nei giorni scorsi ha partorito un bel maschietto>>, dice qualcuno, ed immancabilmente qualcun altro dice subito che sfortunatamente non si sa chi sia il padre. C’è chi sorride tra i corridoi, non comprendendo la scelta importante ed impegnativa della ex-impiegata e loro ex-collega di generare un figlio tutto per sé, senza alcuna necessità di avere vicino un uomo a cui darne la paternità. <<Ha dimostrato a tutti che l’umanità è interamente in mano al mondo femminile, e che probabilmente in futuro non ci sarà più neppure la necessità degli uomini ad ingombrare le case e le famiglie con la loro presenza, se alla fine lo scopo fondamentale di tutto quanto resta quello della procreazione>>, cerca di spiegare qualcun altro con un sorriso ironico. Il capufficio di Monica, comunque, le ha telefonato a nome di tutti, riuscendo a parlarle e a farle le proprie felicitazioni, ed ha fatto anche recapitare al suo indirizzo un grande mazzo di fiori bianchi, cercando nuovamente con un biglietto di congratularsi con lei e di ringraziarla, forse anche per aver dato una lezione di determinazione a tutti quanti, compreso quel Renato che adesso sta in malattia, addirittura ricoverato in una clinica per depressi, e che probabilmente tornerà alla sua scrivania, così almeno dicono i suoi genitori, soltanto fra qualche mese. In ogni caso tutti hanno iniziato a riflettere, chi in un modo più profondo, e chi in maniera più superficiale, su quella scelta radicale di Monica, ed i pareri che ne sono emersi sembrano spesso abbastanza discordanti tra loro.

Monica intanto è felice: è tornata a casa con il suo piccolo Giacomo e subito, con l’aiuto della sua governante, ha organizzato quasi ogni ambiente del suo vasto appartamento proprio in funzione di quella nuova presenza. Adesso non c’è proprio altro che are le interessi, nulla che possa distogliere la sua attenzione dalle necessità grandi e piccole del suo tesoro, un bambino tranquillo, capace di regolarsi facilmente ai turni di nutrizione e a quelli di riposo. Molti hanno salutato con gioia quella nascita, soprattutto in considerazione del coraggio mostrato da Monica nel voler allevare un figlio da sola, senza nominare mai chi sia il padre del bambino che ha collaborato alla nascita. Alcuni poi hanno iniziato a dire che la nuova mamma si è semplicemente rivolta ad una banca del seme, e Monica ha sorriso nell’ascoltare questa supposizione, senza smentirla né confermarla. <<È mio figlio>>, ha continuato lei a ripetere a tutti, <<e porterà il mio nome, come è giusto che sia>>. Caterina si è mostrata assolutamente d’accordo con l’amica su tutto quanto, e più di una volta, tenendo in braccio quel pargoletto, si è ritrovata a commuoversi, tanto le è apparso come un vero miracolo per come è venuto al mondo. Persino Mauro si è mostrato d’accordo nella scelta di Monica, e quando è andato a farle una visita ha usato con lei parole di grande sostegno e di assoluta comprensione per la sua scelta.

Comunque, dopo quei primi giorni trascorsi da Monica Moroni come un forte scombussolamento per qualsiasi assodata propria abitudine, le cose rapidamente sono andate normalizzandosi a casa sua, e tutto velocemente ha trovato una certa regolarità. Ormai lei già si proiettata nel futuro, sia per i giorni in cui potrà portare fuori Giacomo con la carrozzina, sia per quando lui inizierà a muovere i primi passi, e a nutrirsi con delle cose diverse dal latte materno, e più in là anche a parlare, e a formulare le prime dolci parole che mostreranno la sua voglia innata e istintiva di comunicare col mondo. Una madre non può desiderare nient’altro da un figlio, se non apprezzare quella propria spinta costante e graduale alla crescita, ciò che lo porterà poco per volta ad essere un bambino capace di apprendere la realtà e di far ascoltare a tutti la propria opinione su ciò da cui è circondato. Sua madre comunque non avrà mai alcun rimpianto, nessun ripensamento, alcun dubbio, e tutti i propri sforzi da ora in avanti saranno soltanto e semplicemente dedicati a suo figlio. Renato oramai è distante, nessuno le ha più parlato di lui, e lei non ha chiesto notizie. La sua governante ha detto di fretta che forse c’era da provare ancora un po’ di timore per quel Nesti, supponendo il suo inaspettato ritorno a farsi vivo, ma a Monica queste le sono parse soltanto delle sciocchezze di cui non tenere alcun conto.

Poi è arrivato Sergio, il coinquilino di Renato, a portarle un piccolo pensierino personale per l’evento, e a farle i suoi complimenti per quel bel bambino. Le ha parlato del Nesti, del suo tracollo psicologico, del ricovero urgente in una clinica psichiatrica, ma Monica si è mostrata fredda, quasi indifferente, ed anche se non gli ha detto espressamente che non era interessata a quell’argomento, ugualmente non ha posto alcuna domanda, nessuna curiosità, niente di niente, lasciando quindi cadere quel tema pur senza osteggiarlo, e sicuramente senza dare ai fatti alcun minimo sostegno.

 

Bruno Magnolfi  

martedì 13 maggio 2025

Piena serenità


            <<Abbiamo dovuto farlo ricoverare in una clinica adeguata>>, dice il padre di Renato al telefono cercando di informare Sergio su quanto è accaduto negli ultimi giorni a suo figlio. <<La sua profonda depressione ormai, a detta proprio dei medici esperti, sembra possa essere curata soltanto con dei farmaci specifici e delle attenzioni particolari ad ogni dettaglio della sua giornata, soprattutto creandogli attorno un clima che non gli sia mai ostile, organizzando quindi nel proseguo anche le persone che si troverà a frequentare. Per questo motivo, nel momento in cui sarà dimesso dall’ospedale, cosa che avverrà non prima di qualche settimana, io e mia moglie abbiamo pensato fosse meglio farlo tornare almeno momentaneamente nella sua casa di famiglia, insomma con noi, dove potrà trovare tutte quelle accortezze e quelle cure di cui nostro figlio avrà necessità>>. Sergio in silenzio annuisce, riflette su quanto va ascoltando, poi risponde più espressamente che trova quelle misure sicuramente necessarie per Renato, e che in considerazione di tutto quanto lui si troverà costretto, se le cose come sembra andranno per le lunghe, ad affittare ad altra persona quella stanza fino adesso destinata al loro figlio. <<Ma certo>>, dice subito il padre che non ha mai visto di buon occhio quella scelta di coabitazione. <<Lei si senta libero sin da adesso di trovare altre soluzioni. Dopo quel momento, tra non meno di qualche mese, comunque, e nel caso tutto tornasse alla piena normalità, io e mia moglie la informeremo senz’altro>>. Poi si salutano e riagganciano.

            Sergio adesso si sente come svuotato. In fondo Renato per tutto il tempo che ha abitato insieme a lui si è dimostrato sempre disponibile ad occuparsi della casa, delle faccende domestiche, della cucina, e tutto ciò ha sicuramente alleggerito e di parecchio i propri personali impicci quotidiani. Poi però riflette sul momento attuale di Renato, e gli dispiace che sia caduto improvvisamente dentro a questa assurda spirale depressiva, anche se non ricorda alcun suo comportamento particolarmente differente dal solito negli ultimi tempi, se si eccettua il crollo finale improvviso. Riflettendoci meglio gli pare che tutto possa essere facilmente collegato alla chiusura del rapporto con quella Monica, anche se quando Renato gli aveva parlato di questo fatto, non si era mostrato particolarmente abbattuto; dispiaciuto si, considerato che lui indubbiamente credeva molto nella possibilità di crearsi addirittura una famiglia con lei, anche se adesso Sergio si trova a ricordare che già dalle prime volte che loro due avevano iniziato a frequentarsi erano subito sorti tra loro dei problemi comunicativi e di relazione. Certo, in seguito, quando lei gli aveva confessato di essere uscita con un’altra persona che le piaceva, e di essere addirittura rimasta incinta di quella, il colpo doveva essere stato piuttosto forte per lui, anche se a quel punto Renato aveva già considerata assolutamente chiusa e sigillata la propria avventura con la sua ex-collega di lavoro.

            Sarebbe stato difficile per chiunque, comunque, dare dei consigli di comportamento al Nesti, anche se qualche volta Sergio aveva provato con sincerità a spiegargli quale sarebbe stato a suo personale parere l’atteggiamento migliore da adottare con una donna come quella Monica, nonostante non abbia mai avuto alcun riscontro sul fatto che lui abbia davvero messo in pratica qualcuno dei suoi suggerimenti, mostrando sempre, al contrario, di andare avanti con la sua abituale condotta. Quella era una storia che non avrebbe mai avuto un futuro, si vedeva benissimo, riflette Sergio; troppi diversi i caratteri dei due, troppo distanti i loro punti vista, troppo differenti le prospettive di vita per ognuno. In ogni caso, il fatto di aver dato un taglio netto a quella loro pseudo-amicizia, tramite l’evenienza da parte di lei di aspettare un bambino da un altro, ad un certo punto non aveva dato in assoluto a Renato alcuna possibilità per recuperare almeno qualcosa di quella loro breve relazione. Niente di strano, pensa adesso Sergio: fin dall’inizio c’erano già i presupposti per un epilogo del genere; Renato non poteva mostrarsi troppo sorpreso, e neppure era suo preciso appannaggio decidere che era venuta a mancare un’intesa che lui tanto desiderava. Quell’intesa, di fatto, non c’era mai stata, era evidente, forse soltanto lui non era stato capace di rendersene conto.

            Dopo cose del genere l’unica maniera per superare bene la situazione è quella di voltare una volta per tutte quella pagina triste ed iniziare ad occuparsi di tutt’altre faccende, anche se quel Renato Nesti, per certi versi troppo spalleggiato e sostenuto dai suoi genitori, non è certo il tipo di persona che riesce facilmente a cambiare con rapidità i propri atteggiamenti. Sergio prosegue a camminare avanti e indietro nel suo appartamento, cercando qualche soluzione: a questo punto vorrebbe soltanto conoscere quali saranno le decisioni di Monica una volta portata a termine la sua gravidanza, e quali le sue scelte, anche in funzione del fatto di chiudere al meglio il passato alle proprie spalle, ed affrontare così la nascita del suo bambino in piena serenità.

 

            Bruno Magnolfi

domenica 11 maggio 2025

Privo di seguito.


La governante di Monica, nella sala d’attesa d’ospedale, naturalmente mette subito al corrente Caterina di quanto è accaduto poco prima con il signor Nesti, e lei, giunta fuori dalla sala parto in trepidazione per l’impellente lieto evento dell’amica, praticamente rimane di sasso nel rendersi conto di come in poco tempo le cose tra loro due si siano degradate ad un punto tale da portare Renato a compiere un atto così vigliacco come le stanno spiegando. L’infermiera, quando era arrivata la puerpera, aveva subito chiesto a Monica che cosa le fosse accaduto a quella mano fasciata così malamente fino a lasciare affiorare sulla garza una larga chiazza di sangue raggrumato, ma lei aveva risposto che durante le prime doglie, nella confusione del momento, aveva semplicemente sbattuto l’arto nella maniglia d'una porta di casa sua. La gravidanza adesso sembra comunque che proceda bene e in fretta, e Monica viene fatta sistemare da lì a poco sul lettino della sala parto, in quanto oramai manca davvero poco. <<Non riesco neppure a credere che cosa sia passato per la testa a quel Renato nel momento in cui ha colpito Monica, una donna spossata per la lunga gravidanza, immersa e confusa nel suo stato di gestante, e poi una persona così fragile come lei, indifesa, che non può aver mai fatto niente di male a nessuno, tantomeno ad uno come a quel Nesti che a me, per essere sinceri, non è mai piaciuto. Probabilmente è impazzito, o forse il suo egoismo lo ha portato per assurdo ad infierire quasi casualmente su chi gli aveva spiegato da tempo che la loro storia non aveva alcun futuro>>, dice Caterina. La governante annuisce, anche lei non sa cosa pensare di quel comportamento, peraltro così improvviso e inaspettato.

Caterina poi telefona immediatamente a suo marito per spiegargli quello che sta succedendo: <<Forse dovrà essere denunciato alle autorità, quel Renato>>, gli dice lei senza mezzi termini. <<Ci sono tutti gli estremi e le aggravanti per riuscire a fargli avere una bella lezione dalla giustizia>>. Il ragioniere però taglia corto, e dice che adesso chiuderà immediatamente lo studio per precipitarsi anche lui in quel reparto maternità dove lei si trova. Trascorre un po’ di tempo senza che giungano nuove notizie, ma alla fine esce l’ostetrica dalla sala parto e dice con un gran sorriso che adesso il bambino è nato, e che è andato tutto bene. Caterina piange, probabilmente le pare una notizia meravigliosa pur in mezzo a tanti sentimenti confusi, e in quel momento giunge suo marito ad abbracciarla e a sostenerla, quasi fosse nato un loro figlio. <<Ogni decisione spetta a Monica>>, dice lui dopo qualche minuto. <<Noi, come semplici amici, possiamo soltanto darle dei moderati consigli, o meglio riflettere a fondo sui fatti accaduti, e poi cercare assieme a Monica quale sia la soluzione migliore per ottenere la piena tranquillità delle cose. Nient’altro; le relazioni con le persone che ha attorno sono un suo appannaggio, e quindi anche le decisioni da prendere o meno in funzione di quanto è accaduto, soltanto una sua prerogativa indiscutibile>>.   

Caterina si ricorda ad un certo punto di avvertire anche gli zii di Monica, e anche loro si mostrano felici del lieto evento e dicono subito che verranno il prima possibile in ospedale. Giungono poi altre persone raggiunte chissà come dalla notizia, con qualche mazzo di fiori e soprattutto l’emozione di felicitarsi per il nuovo nato, anche se Monica ed il suo bambino vengono trasferiti in una camera a cui momentaneamente non è possibile avere accesso, e dove staranno per un paio di giorni a riposare e a trovare la misura del loro primo approccio. Giunge la sera, e tutto viene rimandato alla giornata seguente, quando forse sarà possibile finalmente vedere il bambino, e così tutti con calma e con aria allegra e senza pensieri lasciano il reparto, sicuri che qualcosa di bello è avvenuto ancora, indipendentemente dalle cattiverie spesso gratuite del mondo. 

Il giorno seguente ci sono tutti quanti nella cameretta di Monica a far festa, e lei si mostra felice, raggiante, anche se il bambino deve stare per ora nella sua culla insieme agli altri nuovi nati. Questa immagine comunque allontana dalla testa di ognuno qualsiasi problema o preoccupazione: c’è un futuro per quelle piccole manine, c’è un mondo nuovo davanti a quei piedini che sembrano finti per quanto appaiono minuscoli, e quegli occhietti che sembrano per il momento non accorgersi di niente chissà quante cose vedranno che nessuno oggi neppure immagina. Monica poi si alza dal suo letto, ringrazia ogni persona che è venuta a rallegrarsi, sorride, si lascia abbracciare, spiega a tutti quali sono stati i momenti più difficili e quali quelli più intensi. La sua piccola ferita sopra la mano ormai è superata, soltanto una sciocchezza, niente di cui fare neanche menzione, un incidente stupido che non ha proprio avuto e non avrà alcun seguito.

 

Bruno Magnolfi

martedì 6 maggio 2025

Carica emotiva.


            Sergio rientra a casa e trova Renato piuttosto stravolto, che sull’immediato si rifiuta persino di parlare, e dopo un attimo poi va ad infilarsi nella propria stanza chiudendo a chiave la porta dietro di sé. L’altro lo lascia stare almeno per un po’, fa le sue cose, si occupa della cena e anche di altre faccende, e quando torna a chiedergli qualcosa, giusto per capire che cosa stia capitando, e poi anche se è possibile sbloccare quella situazione, Renato oltre quell’uscio non dà alcun segno, neppure un minimo tentativo per spiegare qualcosa del suo comportamento. Così tutto va avanti per parecchio tempo, senza alcuna variazione, tanto che Sergio sempre più preoccupato telefona ai genitori di Renato spiegando con parole semplici il modo di fare del loro figlio. Non passa molto tempo, giungono direttamente il padre e la madre, e Sergio naturalmente li fa subito entrare in modo che adesso siano loro a cercare di farsi aprire la porta da Renato e a farsi dire che cosa stia accadendo, ma purtroppo senza risultati, considerato che lui ormai risponde a tutti soltanto urlando: <<andate via!>>, <<lasciatemi stare!>>, ed altre cose di questo genere. Il padre decide di interpellare il medico che lo ha preso in cura poco tempo prima, il quale decide di andare sul posto di persona.

            Infine, Renato apre la porta, esce dalla sua stanza, va a sedersi su una poltrona del salottino conservando un’espressione a dir poco distrutta, una faccia impresentabile, lo sguardo perso, le mani che gli tremano. Il dottore decide di dargli un calmante, e lui si lascia curare anche se non dice niente, non risponde alle domande, non spiega nulla del suo comportamento, e continua a ripetere solamente che vuole restare solo. Dopo un’ora trascorsa senza grandi risultati, il calmante agisce, così sua madre e suo padre lo fanno coricare sul suo letto e subito lui chiude gli occhi spossato, incapace di far altro che non sia riposarsi e riprendere le forze. I suoi genitori se ne vanno, assicurano il medico, e soprattutto Sergio, che torneranno domani mattina per vedere come procedono le cose, e se a quel punto Renato sarà in condizioni di spiegare qualcosa di sé, di ciò che gli è accaduto, del rivolgimento che gli è capitato. La chiave della porta della sua camera naturalmente viene fatta subito sparire, e Sergio si rende disponibile a controllare la situazione e a chiamarli ancora nel caso se ne ravvedesse la necessità. Il giorno seguente torna suo padre per spiegare che devono subito andare in una certa clinica dove hanno stabilito di sottoporre per Renato alcune analisi, così lui remissivo si lava e si veste con cura, mentre suo padre appronta una borsa con gli indumenti che possono servire.

            Nella clinica spiegano in fretta che lo terranno in osservazione per due settimane, poi lo sistemano in una stanzetta disadorna, e quindi, a fine mattinata, viene ricevuto da un medico psichiatrico che gli pone una serie di quesiti ma senza troppe insistenze. Ormai Renato è perfettamente consapevole di aver combinato qualcosa di assurdo, ed appare ancora più arrendevole, senza alcuna volontà di ribellione, lasciando a chiunque si trovi attorno la possibilità di decidere tutto ciò che vuole su di lui. Dalla sua mente, probabilmente, ha quasi rimosso il suo gesto crudele nei confronti di Monica, e tutto quanto gli appare adesso solo come lo sfondo annebbiato di una vicenda semplicemente sognata qualche tempo addietro. Lentamente si lascia sprofondare in un’altra realtà che ugualmente non conosce e non riconosce, e della quale in fondo appare molto disinteressato, quasi che le prossime giornate farcite di tranquillanti e altre cure di quel genere, fossero dedicate ad un diverso paziente, e non a lui. Non gli interessa neppure venire a conoscenza del risultato di quella gravidanza che ha sfiorato il giorno avanti, non gli importa sapere come stiano le persone coinvolte nelle sue stranezze, prosegue a rinchiudersi poco per volta dentro sé stesso, quasi che il suo mondo ormai fosse sempre più staccato da quello di tutti gli altri.

            <<Renato>>, gli dice il padre prima di andarsene e lasciarlo in mano ai medici; <<Cerca di riprenderti, non proseguire ancora con questa depressione che non ti porterà mai a niente di buono. Reagisci, guardati attorno, hai davanti tante cose che ancora puoi fare e a cui puoi dedicarti, non devi fermare i tuoi pensieri su una sola persona, oppure su un solo periodo tra tutti quelli che hai vissuto fino adesso. Io e tua madre siamo pronti a darti un aiuto generoso in tutto ciò che tu possa desiderare, ma il primo passo devi compierlo personalmente, e mostrare anche a noi che ci tieni davvero ad affrontare le tue giornate in piena coscienza ed in tutta sicurezza di te e delle tue capacità>>. Poi lo abbraccia, e Renato forse proverebbe adesso un momento di sincera commozione, così come in parte lo sta provando suo padre, ma resiste, desidera mostrarsi freddo verso certi gesti, non vuole più in nessun caso farsi trascinare in attimi troppo carichi di emotività.

 

            Bruno Magnolfi    

domenica 4 maggio 2025

Questo bambino.


            Mancano ormai pochi giorni, il medico ha ribadito di nuovo che nonostante l’età della prossima mamma, certamente un po’ avanzata, tutto procede bene, e che appena ci saranno i primi segnali Monica dovrà allertare immediatamente un’autoambulanza per andare a partorire nel reparto maternità dell’ospedale cittadino, dove verrà seguita al meglio possibile. Lei trascorre le ore seduta sulla solita comoda poltrona, limitandosi a leggere dei libri e fare ogni tanto qualche passo dentro il proprio appartamento, lasciando ogni piccolo impegno casalingo alla sua brava governante sempre molto disponibile. Poi qualcuno suona il campanello, qualcuno che sicuramente conosce sia il portiere del palazzo che il codice numerico per poter parlare al videocitofono. È già il tardo pomeriggio, e a quest’ora neppure Caterina generalmente viene a farle una visita. La governante chiede chi sia all’apparecchio, non riconoscendo la faccia dentro lo schermo, e la risposta netta è: <<Renato>>, senza altre parole. Monica dopo un attimo di perplessità dice di farlo salire, in fondo le fa persino piacere che lui abbia finalmente trovato il coraggio per farsi vivo, e probabilmente questa sarà l’ultima volta che riuscirà a vederla senza il suo bambino. Lui prende l’ascensore e sale rapido fino all’attico, poi varca la porta tenuta aperta dalla governante con una certa titubanza; quindi, raggiunge Monica nella sala luminosa dove lei soggiorna. Le porge un timido saluto, le chiede le solite cose di cui si parla in questi casi, e Monica con lui cerca di essere gentile, forse un po’ distaccata, come se non ci fosse mai stata quella piccola storia tra di loro. Renato stenta persino nel mettersi seduto, si vede che è nervoso, che sta facendo una cosa che probabilmente gli è costata molta fatica.

            L’osserva per un attimo, in silenzio, poi allontana subito lo sguardo da lei, e ripete questo comportamento più volte, come se avesse qualcosa da dire ma non si decidesse ad esprimersi. Alla fine, senza preavviso, tira fuori di tasca il suo temperino, e con gesto brusco affonda la punta di quel coltello nella mano di Monica, appoggiata sopra al bracciolo. Lei urla, il sangue zampilla, la cameriera corre, tutto sembra improvvisamente stonato, e Renato corre via, apre la porta dell’appartamento e si getta giù lungo le scale, saltando tra i gradini dopo aver rimesso il coltello dentro una tasca. La ferita di Monica sanguina, ma non è grave: viene tamponata in fretta e dopo poco mostra che si tratta solo di una coltellata leggera, che non ha fatto grossi danni alla mano, anche se lei prosegue ad urlare, e poi piange, si dispera, forse si rende conto all’improvviso di qualcosa che senz’altro aveva sottovalutato. Dopo poco il rivolo di sangue sgorgato smette di uscire quasi del tutto, la governante tenta una fasciatura ben stretta, ma proprio in quel momento, forse per lo spavento provato, Monica sente che il suo bambino si muove dentro di lei, che vuole uscire, che è giunta l’ora.

            Viene chiamata l’autoambulanza, intanto lei si distende sopra al divano, la governante prende rapidamente tutte le cose che potranno servirle per il parto, e alla fine giungono gli infermieri e il medico con una barella, pronti a portarla con loro e a rassicurarla. Monica però prosegue a piangere, non si sarebbe mai aspettata qualcosa del genere, indubbiamente si sente ferita, oltre che nella propria mano, che comunque continua a farle male, anche nell’orgoglio, come se Renato con un solo gesto fosse stato capace di violare la sacralità del momento che l’attende. In sala parto le cose procedono piuttosto bene e spedite, tutti si prodigano per far nascere Giacomo, e lui con tutta l’energia di un bambino che desidera venire alla luce, non si fa certo attendere, piccolo e meraviglioso come solo i neonati possono essere. Caterina giunge in ospedale trafelata, avvertita dalla cameriera di Monica, però resta fuori dalla stanza dove è stata portata la puerpera con il suo bambino per riposare, e allora lei piange, è felice, non sa neppure in quale maniera manifestare tutta la sua gioia. Poi inizia a telefonare a tutti coloro che conoscono Monica, naturalmente anche a sua zia, e anche all’Anselmi di cui aveva annotato il numero, e tutti si rallegrano, hanno dolci parole di felicitazioni. Forse, pensa Caterina che non sa ancora niente di quanto accaduto, sarebbe il caso di avvertire perfino Renato, anche se poi lascia a Monica questa incombenza, magari nei giorni a seguire.

            Infine, nel corridoio del reparto maternità, si fa vedere anche la governante di Monica, rimasta indietro a sistemare la casa, saluta Caterina con slancio e poi la mette subito al corrente di quanto accaduto nel loro appartamento. <<Da non credere>>, dice lei. <<Forse Renato è impazzito. Forse dovremmo denunciare il suo gesto alle autorità competenti. Forse ci sarà persino da preoccuparsi per i giorni in cui Monica e Giacomo torneranno a casa propria. Però adesso dobbiamo sorvolare su tutto questo. Perché adesso questo momento è tutto e soltanto di questo bambino>>.

 

            Bruno Magnolfi

giovedì 1 maggio 2025

Veri sentimenti.


            <<Non so neppure spiegare per quale motivo preciso io mi stia prendendo così a cuore la nascita di questo bambino>>, dico io ad una conoscente, una vicina di casa con la quale certe volte mi fermo a parlare superficialmente del più e del meno. <<Mi sono talmente impersonata nella mia amica, che mi sembra adesso di sentir muovere anche dentro di me la vita che si prepara a nascere>>. L’altra mi guarda senza trovare sull’immediato niente da ribattere, ma forse immagino vorrebbe dirmi che è proprio la mia mancanza di figli che mi ha portato diritta verso queste sensazioni; cioè, il fatto di desiderare fortemente qualcosa senza riuscire mai ad ottenerla, in certi casi fa in modo, secondo il suo evidente parere, che la nostra sensibilità e i nostri sensi possono acuirsi e in seguito amplificarsi semplicemente alla sola vicinanza di quel qualcosa, mostrando tutti i possibili sentimenti che possiamo nutrire verso ciò che purtroppo ci è stato negato. <<Ma non sto male, non provo invidia verso di lei oppure rabbia nei confronti della natura che mi ha tolto questa possibilità>>, le spiego alla signora subito dopo. Poi lei inizia a raccontarmi una piccola vicenda piuttosto affine a quanto le ho appena detto, e tutto quanto tramite le sue parole semplici sembra spianarsi e giustificare le sensazioni descritte e persino tutti i comportamenti, tanto da divenire in un attimo una cosa qualsiasi, una semplice combinazione sul percorso lineare degli anni di ciascuno.

            Infine, senza più ribattere niente, la saluto; non credo dovrei parlare troppo in giro di faccende di questo genere: spesso si viene fraintesi, oppure chi ci ascolta cerca di rendere ordinaria una cosa che a noi non appare affatto tale, provando sensazioni difficilmente comunicabili con delle semplici parole. Mi sto controllando, mi sto addirittura frenando: se dessi retta del tutto a ciò che provo dentro di me sarei continuamente a casa di Monica per osservarla, per scambiare con lei ogni possibile parere sul suo stato, e poi verificare giorno dopo giorno i piccoli cambiamenti che stanno avvenendo nel suo corpo, e misurare ogni dettaglio che lei è capace di mostrare nella sua continua attesa. La data del parto ormai è vicina, ed io provo dentro di me la voglia di dilatare al massimo questo tempo, come se tutto l’essenziale del periodo stesse in questa intensa attesa, con un epilogo che sembra quasi spostarsi ogni giorno un po’ più avanti, almeno all’interno dei miei desideri. Credo di essere ormai sopraffatta da quanto sta avvenendo addirittura sotto ai miei occhi, e penso che la mia incapacità a parlarne persino con la stessa Monica, stia mostrando un limite enorme della comunicazione.   

            <<Caterina>>, mi dice ogni volta che vado da lei. <<Ho qui tutto quello che mi serve; la prima persona a cui telefonerei, nel caso ci fosse qualche novità, sei proprio tu, per cui non stare a scomodarti quasi ogni giorno per venire a farmi visita, a me evidentemente fa sempre un gran piacere, ma davvero non lo trovo necessario, e poi vedo che ti stanchi, che prendi estremamente a cuore ogni minimo segnale che non sia quello che vorresti>>. Allora io la osservo per un lungo momento, con serietà, con profonda accortezza, e poi non so resistere e così infine scoppio a piangere, non so neppure io per quale motivo. Monica sull’immediato non mi dice niente, lascia che io sfoghi tutta la carica emotiva che forse ho accumulato negli ultimi tempi, ed io mi asciugo gli occhi, mi riprendo alla svelta, le sorrido, le chiedo scusa, ma in lei trovo subito un debole moto di rigidità, come se avessi fatto qualcosa che a lei non piace troppo. Torno a sedermi, la guardo, dico: <<Mi emoziona starti accanto, vedere come procedono le cose, i piccoli cambiamenti che avvengono giorno dopo giorno, avvertire questo bambino che sta crescendo in te>>.

            <<Comprendo perfettamente tutto questo>>, spiega adesso Monica. <<Ma non vorrei in nessun caso essere influenzata da qualcuno attorno a me. Ho deciso di avere un figlio da sola, ma non per egoismo, o per un’estrema possessività, quanto perché credo di poter rispondere nella mia solitudine a tutte le necessità che questo comporta, e vorrei tentare di portare avanti in questo modo la mia idea. Non vorrei in nessun modo escluderti da questa fase, ma non ritengo utile né a me e neppure a te che qualcuno si intrometta troppo in questo processo delicato>>. Resto in silenzio. Credo abbia ragione, e forse era proprio necessario che mi ricordasse il ruolo di ciascuno. Allora cerco di scusarmi, non era certo mia intenzione apparire sotto una luce addirittura negativa, così le faccio presente che per lei vorrei soltanto essere un’amica che le dà una mano, se e quando serve. Infine, ci abbracciamo: <<Sono contenta>>, le dico, <<che tu abbia rimesso in fila le cose. Forse mi sono lasciata prendere dall’emozione di questi momenti, e alla fine non sono stata neppure in grado di comunicarti i miei più veri sentimenti>>.   

 

            Bruno Magnolfi