Qualche
volta mi ritrovo ad urlare. Non perché desideri attirare l’attenzione su di me,
quanto per segnalare agli altri la loro incapacità a correggere gli errori che
compiono, come ad esempio vivere nella completa indifferenza di ciò da cui sono
costantemente circondati. Mi interessa segnalare soprattutto il momento quando
qualcuno si dimostra incapace di muovere una propria autocritica, perché credo
che sia proprio così che le persone non migliorino mai, cioè evitando di
analizzare i propri comportamenti e poi depurarli poco per volta da ciò che
appare più deteriore. Spesso, perciò, quando mi accorgo che è esattamente ciò
sta proprio capitando, allora urlo. Se mi dicessero che mi comporto sempre alla
stessa maniera, sarei capace sicuramente di cambiare registro, di variare il
mio atteggiamento, ma nessuno normalmente sembra neanche accorgersi dei miei
segnali, e così tutto termina senza che avvenga effettivamente qualcosa di
significativo. Va da sé che non ho molti amici. E le conoscenze che frequento
ogni tanto non sono neppure sicuro che sia possibile considerarle delle vere
amicizie. Anzi, se si esclude una vicina di casa con la quale mi fermo quando
la incontro, ed il negoziante dei generi alimentari del mio quartiere, sempre
in vena di spiritosaggini, non ho altre persone che di fatto si fermino a
parlare con me e a chiedermi come vadano le cose.
Non ha
molta importanza, il mondo deve migliorare, continuo a pensare, basta che
ognuno riesca a comprendere cosa ci sia che non va nella propria giornata,
quali siano gli aspetti da rivedere, i risvolti ai quali dare un deciso
aggiornamento. Chi mi vede più spesso per strada, nel quartiere dove abito nella
casa di mia sorella, ormai lo sa che a volte parlo da solo, e certe volte lo
faccio a voce molto alta. Forse sorridono del mio comportamento, perché non si
rendono conto che qualcuno deve pur prendersi la briga di segnalare le cose che
non vanno per il verso giusto. Ad esempio, certe volte entro in una bettola
poco distante da dove vivo, e lì ci trovo ogni volta dei tizi che parlano
sempre di politica, come se fossero in grado solo parlandone di smuovere
qualcosa negli alti vertici. Si scontrano, ognuno dice la propria, conservando
la pretesa di essere dalla parte più giusta e di soffocare, con l’effluvio di
parole che riescono a mettere insieme, l’opinione degli altri. Naturalmente
dopo poco smettono, con la piena consapevolezza però che ognuno rimanga
esattamente della stessa opinione di prima. Mi chiamano il matto, quando urlo
verso di loro delle frasi a caso, quasi prive di senso, come imitando il loro
comportamento, e poi però mi lasciano perdere.
Non ci
sarebbe bisogno di grandi discussioni, di chiacchiere continue sui soliti
argomenti, e neanche di affidarsi a dei professionisti, e né di alcuna cura o
medicina, vorrei dire a ciascuno, se solo si adottasse il mio metodo. Sarebbe
sufficiente che ogni individuo svolgesse costantemente una sana e decisa
autocritica su ciò che pensa, o che fa, o che crede più vero, o che addirittura
si dimostra capace di sentire dentro di sé, per giungere facilmente ad un
semplice progresso del proprio stato e anche di quello degli altri. Quando
uscii dalla clinica psichiatrica, molti anni fa, provai a dirlo a tutti, a
spiegare ad ogni persona che incontravo per strada come fosse facile questo
metodo, ma nessuno a quei tempi mi prese mai troppo sul serio. Ma io rimango
convinto di questo sistema, anche se riconosco sia molto più facile dichiararsi
convinti di qualcosa e poi proseguire a mantenere costantemente la stessa
opinione. Credo che lo scopo finale per tutti sia il progresso, il
miglioramento delle condizioni di vita, la capacità di un mondo ottimista in
grado di offrire a tutti le stesse opportunità, e di scartare poco per volta
tutto ciò che appare assurdo e non utilizzabile.
Qualcuno nella solita bettola
dice che queste sono solo utopie, e che tutto invariabilmente è destinato poco
per volta a peggiorare, e prima o dopo saremo tutti costretti a rivivere anche
gli incubi più terribili dell’umanità, e che l’unica cosa da fare è quella di
prepararsi al peggio. Io non ci credo, sorrido quando sento quelle persone tra
loro che parlano così. Ognuno deve migliorare sé stesso, penso; ognuno deve
fare uno sforzo per rendersi più capace di accettare le idee altrui, e dare la
possibilità di modificare quelle più sbagliate. Allora urlo. Prima cercano di
calmarmi, di farmi smettere. Poi mi spingono lentamente fino alla porta, e
quindi mi trascinano fuori, sulla strada, fuori da quella bettola, dove provoco
meno fastidi. È tutto inutile penso, quello che cerco di spiegare è la pura
verità. Queste persone dentro la bettola non vogliono sentirsi dire qualcosa da
uno che è stato tanto tempo in una clinica psichiatrica, e allora mi rifiutano,
mi mandano via, mi mettono in condizione di dare il meno fastidio possibile, ma
in fondo vogliono solo che io faccia i miei urli sui loro comportamenti
sbagliati da qualche altra parte, perché nessuno li vuole davvero sentire.
Bruno Magnolfi
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