martedì 27 maggio 2025

Pensiamo all'attualità.


            Torno a casa mia. Cioè, a casa di mia sorella e di suo marito. Da quando sono uscito dalla clinica psichiatrica loro hanno preparato una stanzetta per me nel loro appartamento, ed io vado lì a dormire ogni sera, anche se durante il giorno spesso sono in giro ad ascoltare le persone che incontro. Non so quanto tempo sono rimasto nella clinica, credo parecchio, visto che in quel periodo sono successe un sacco di cose. Prima avevo una casa dove abitavo con mia madre. Ma lei si è ammalata di tumore al polmone, e nel giro di poco tempo se n’è andata, così io ho perso molto del mio equilibrio, e mia sorella mi ha fatto curare da alcuni specialisti in un ospedale di cui adesso non ricordo quasi nulla, neppure il nome. Comunque, prima dell’ora di cena torno sempre da mia sorella. Lei non parla mai di mia madre quando ci sono io in giro, probabilmente per la paura che solo a sentirla nominare a me prenda di nuovo una crisi, e anche tutte le fotografie della famiglia, che un tempo erano in bella vista sopra il ripiano di una cassettiera, sono improvvisamente sparite. Non ha importanza, credo, io quando sono nell’appartamento di mia sorella sto sempre per conto mio, in silenzio, spesso nella mia stanzetta. Mia sorella è capace di usare piccole dosi di autocritica, e quindi correggere i propri comportamenti, come nel caso delle fotografie e cose del genere. Suo marito no. Lui forse neppure mi sopporta, anche se intasca volentieri la mia piccola pensione di invalidità.

            <<Potrebbe anche lavorare, no?>>, dice certe volte a mia sorella con una voce sufficientemente alta da farsi sentire anche da me. A me sinceramente piacerebbe stare in un posto dove poter dare delle indicazioni alle persone che cercano un certo ufficio oppure che hanno da far sistemare una pratica. Ma mia sorella dice che è presto, dobbiamo aspettare che gli specialisti diano una loro risposta positiva su questa faccenda. Ed io sto in silenzio, e in casa non mi occupo praticamente di niente, più che altro per paura di sbagliare. Quando vado in giro sorrido a parecchi tra coloro che incontro, e certe volte mi lascio coinvolgere in qualche gruppetto dove stanno fermi a parlare e a discutere di qualche argomento. E quando qualcosa non mi sembra stia andando per il verso migliore, allora urlo. In molti mi conoscono, almeno di vista, sanno chi sono, e certe volte hanno già sentito la mia teoria sul possibile miglioramento del genere umano tramite la pulizia interiore dai pensieri e dai sentimenti peggiori. <<Tutti, dobbiamo impegnarci>>, dico urlando certe volte. <<Spurghiamoci da questo bisogno irrazionale di violenza>>, ripeto senza attendere neppure che qualcuno dica che è giusto quello che affermo, oppure no. Poi me ne vado, lascio alle mie spalle la mia opinione, il mio metodo per correggere poco per volta tutte le brutture che appaiono sempre più spesso, anche se sono quasi sicuro che nessuno mi prenderà troppo sul serio.

            Difficilmente mi capita di ridere. Certe volte qualcuno che incontro si mette a fare lo spiritoso e a girare verso di me delle battute poco edificanti sulle donne, oppure sulla miseria che opprime certe persone. Mi sembrano degli argomenti offensivi e privi di ogni significato, così neppure li prendo in considerazione. Non urlo, in questi casi, non lascio a nessuno la soddisfazione di farmi cadere in dei tranelli che non portano da alcuna parte. Mi volto e ignoro risolutamente chi cerca di dire cose del genere. Siamo tutti in una stessa barca, penso spesso, e dobbiamo trovare la maniera migliore per far procedere le cose in modo da stare tutti assieme senza che a qualcuno capiti di cadere al di fuori del bordo. Quando vado a fare i controlli periodici sulla mia salute, i medici si meravigliano sempre delle mie capacità di essere lucido e pronto con opinioni di questo genere. Ma certo, penso io, ho passato un lungo periodo di depressione, di incapacità a tirarmi fuori da quel grumo di pensieri negativi e pessimisti che non mi lasciavano procedere, ma poi ho recuperato, ed anche se non mi giudicano ancora abile per lavorare e svolgere attività ordinarie, ciò non significa che io non abbia ripreso a riflettere sul mondo così come facevo quando ero un ragazzo e stavo con la mia mamma.

            Ma nella piccola città dove viviamo è difficile far comprendere una cosa del genere a degli individui che sanno scaldarsi soltanto quando c’è da far emergere la propria opinione. Non riescono a capire che tutto deriva dalla loro incapacità nel mettere in forse quelle proprie stesse opinioni. Non si deve essere convinti di qualcosa senza aprirsi alla critica e accettare il fatto che è possibile sbagliare. Perché è soltanto così che possiamo trovare la sintesi di tutte le differenze che si sono accumulate negli anni tra di noi. Credo che si potrebbe persino chiudere gli occhi per qualche momento e azzerare tutto, senza ripensare alla storia o riferirsi a dei personaggi che hanno agito e vissuto in epoche diverse dalla nostra. Pensiamo all’attualità, dico certe volte. E poi basta. 

 

            Bruno Magnolfi

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