Torno a
casa mia. Cioè, a casa di mia sorella e di suo marito. Da quando sono uscito
dalla clinica psichiatrica loro hanno preparato una stanzetta per me nel loro
appartamento, ed io vado lì a dormire ogni sera, anche se durante il giorno
spesso sono in giro ad ascoltare le persone che incontro. Non so quanto tempo
sono rimasto nella clinica, credo parecchio, visto che in quel periodo sono
successe un sacco di cose. Prima avevo una casa dove abitavo con mia madre. Ma
lei si è ammalata di tumore al polmone, e nel giro di poco tempo se n’è andata,
così io ho perso molto del mio equilibrio, e mia sorella mi ha fatto curare da
alcuni specialisti in un ospedale di cui adesso non ricordo quasi nulla,
neppure il nome. Comunque, prima dell’ora di cena torno sempre da mia sorella.
Lei non parla mai di mia madre quando ci sono io in giro, probabilmente per la
paura che solo a sentirla nominare a me prenda di nuovo una crisi, e anche
tutte le fotografie della famiglia, che un tempo erano in bella vista sopra il
ripiano di una cassettiera, sono improvvisamente sparite. Non ha importanza,
credo, io quando sono nell’appartamento di mia sorella sto sempre per conto
mio, in silenzio, spesso nella mia stanzetta. Mia sorella è capace di usare
piccole dosi di autocritica, e quindi correggere i propri comportamenti, come
nel caso delle fotografie e cose del genere. Suo marito no. Lui forse neppure
mi sopporta, anche se intasca volentieri la mia piccola pensione di invalidità.
<<Potrebbe
anche lavorare, no?>>, dice certe volte a mia sorella con una voce
sufficientemente alta da farsi sentire anche da me. A me sinceramente
piacerebbe stare in un posto dove poter dare delle indicazioni alle persone che
cercano un certo ufficio oppure che hanno da far sistemare una pratica. Ma mia
sorella dice che è presto, dobbiamo aspettare che gli specialisti diano una
loro risposta positiva su questa faccenda. Ed io sto in silenzio, e in casa non
mi occupo praticamente di niente, più che altro per paura di sbagliare. Quando
vado in giro sorrido a parecchi tra coloro che incontro, e certe volte mi
lascio coinvolgere in qualche gruppetto dove stanno fermi a parlare e a
discutere di qualche argomento. E quando qualcosa non mi sembra stia andando
per il verso migliore, allora urlo. In molti mi conoscono, almeno di vista,
sanno chi sono, e certe volte hanno già sentito la mia teoria sul possibile
miglioramento del genere umano tramite la pulizia interiore dai pensieri e dai
sentimenti peggiori. <<Tutti, dobbiamo impegnarci>>, dico urlando
certe volte. <<Spurghiamoci da questo bisogno irrazionale di
violenza>>, ripeto senza attendere neppure che qualcuno dica che è giusto
quello che affermo, oppure no. Poi me ne vado, lascio alle mie spalle la mia
opinione, il mio metodo per correggere poco per volta tutte le brutture che
appaiono sempre più spesso, anche se sono quasi sicuro che nessuno mi prenderà
troppo sul serio.
Difficilmente
mi capita di ridere. Certe volte qualcuno che incontro si mette a fare lo
spiritoso e a girare verso di me delle battute poco edificanti sulle donne,
oppure sulla miseria che opprime certe persone. Mi sembrano degli argomenti
offensivi e privi di ogni significato, così neppure li prendo in
considerazione. Non urlo, in questi casi, non lascio a nessuno la soddisfazione
di farmi cadere in dei tranelli che non portano da alcuna parte. Mi volto e
ignoro risolutamente chi cerca di dire cose del genere. Siamo tutti in una
stessa barca, penso spesso, e dobbiamo trovare la maniera migliore per far
procedere le cose in modo da stare tutti assieme senza che a qualcuno capiti di
cadere al di fuori del bordo. Quando vado a fare i controlli periodici sulla
mia salute, i medici si meravigliano sempre delle mie capacità di essere lucido
e pronto con opinioni di questo genere. Ma certo, penso io, ho passato un lungo
periodo di depressione, di incapacità a tirarmi fuori da quel grumo di pensieri
negativi e pessimisti che non mi lasciavano procedere, ma poi ho recuperato, ed
anche se non mi giudicano ancora abile per lavorare e svolgere attività
ordinarie, ciò non significa che io non abbia ripreso a riflettere sul mondo
così come facevo quando ero un ragazzo e stavo con la mia mamma.
Ma nella piccola
città dove viviamo è difficile far comprendere una cosa del genere a degli
individui che sanno scaldarsi soltanto quando c’è da far emergere la propria
opinione. Non riescono a capire che tutto deriva dalla loro incapacità nel
mettere in forse quelle proprie stesse opinioni. Non si deve essere convinti di
qualcosa senza aprirsi alla critica e accettare il fatto che è possibile
sbagliare. Perché è soltanto così che possiamo trovare la sintesi di tutte le
differenze che si sono accumulate negli anni tra di noi. Credo che si potrebbe
persino chiudere gli occhi per qualche momento e azzerare tutto, senza
ripensare alla storia o riferirsi a dei personaggi che hanno agito e vissuto in
epoche diverse dalla nostra. Pensiamo all’attualità, dico certe volte. E poi
basta.
Bruno
Magnolfi
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