Sono in piedi,
immobile, sopra questo cavalcavia ferroviario, e osservo le case e le strade di
questo quartiere qua sotto, mentre, senza neppure volerlo, mi vengono in mente
i piccoli fatti della vita quotidiana che probabilmente si stanno verificando
proprio laggiù, da qualche parte. E’ pericoloso stare qui, ne sono cosciente,
specialmente a quest’ora della tarda serata, quando inizia a far buio: sono già
transitati due treni, i macchinisti mi hanno notato e hanno fatto fischiare
forte le loro sirene; sicuramente hanno già telefonato a qualche divisa,
verranno a controllare tra poco, devo sbrigarmi, non ho molto tempo.
Ho scavalcato
la recinzione senza farmi notare, ho percorso lo stretto viottolo che porta
fino al punto più in alto, dove lo sguardo spazia lontano, e adesso una massa
di pensieri ha iniziato a martellarmi dentro la testa. Non vorrei pensare, non
vorrei pensare a niente, vorrei soltanto starmene qui, respirare quest’aria
densa della città, perdermi in questo tramonto sulla periferia, e osservare le
luci che continuano ad accendersi, come fosse uno spettacolo unico, di una
natura incontaminata da tutto, da tutte le brutture che accadono.
Mi piacerebbe
scavare una nicchia nelle travature di cemento di questo posto: restarmene qui,
ad osservare questo scorcio della città, lontano dalle cose di sempre, fuori
dagli egoismi di tutti, distante dalla battaglia di sopravvivenza che va avanti
ogni giorno. Se anche ne avessi la voglia, non saprei neppure cosa o chi portare
con me qualche volta nel mio luogo segreto: probabilmente starei lì da solo, senza
nient’altro, in quel piccolo spazio dove rifugiare me stesso, e questo è tutto
ciò di cui avrei veramente bisogno, un buco ignoto a chiunque, una piccola tana
dove ritirarmi in silenzio, in solitudine, lontano ed esterno a ogni
logica.
Non so neppure
cosa mi trattenga dal gettarmi di sotto dall’alto di questo ponte: forse
l’abitudine a tirare avanti in qualche maniera, forse la sottile speranza che
qualcosa possa davvero cambiare. Devo andarmene da qui, verranno le divise tra
poco, mi porteranno al comando per farmi la solita ramanzina, poi mi butteranno
per strada quando sarà troppo tardi anche per trovare un posto dove passare la
notte. Lo sanno che dopo un certo orario non resta che andarsene alla stazione,
a ciondolare nelle sale d’attesa, ma non gli importa un bel niente di te,
neanche di lasciarti dormire almeno qualche ora al comando.
Qualcuno mi ha
detto che la gente come me è semplicemente il risultato di tanti errori
sociali, ma sono soltanto parole, a me non importa un bel niente che si cerchi
di fare della teoria sulla mia condizione. Però vorrei starmene qui, tutte le
volte che voglio: godermi lo spettacolo delle luci che continuano ad accendersi
dentro le case, e vedere le macchine che corrono lungo il viale là in fondo,
immaginando che tutto sia a posto, che c’è forse un piccolo spazio per tutti, anche
per chi si è ritrovato così al margine delle cose ordinarie. Non lo so perché
sono qui, non cerco di provocare nessuno, neanche quei macchinisti che mi
guardano e segnalano la mia posizione: vorrei stare qui come si sta dentro a
una casa, con l’intimità di se stessi, e godere del senso profondo di sentirsi
persona, rispettato dagli altri, elevato dai propri pensieri, da quanto si possa
essere stati capaci di vivere, in un modo o nell’altro, degni di essere, oltre
ogni giudizio. Nient’altro.
Bruno Magnolfi
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