Nella
saletta d’attesa, lei aveva detto qualcosa senza cambiare espressione, lui era
rimasto in silenzio, continuando a guardare il movimento di gente fuori dai
vetri. Una persona era passata davanti alla loro fila di sedie, raggiungendo il
binario dove, da lì a poco, sarebbe sopraggiunto un treno veloce, e lui aveva
pensato qualcosa, poi si era frugato dentro una tasca e aveva osservato per un
secondo il profilo di lei, ma quasi senza interesse. Quella fuga da tutto,
pensata nei giorni precedenti come una liberazione, come unica soluzione a
tutti gli affanni, doveva diventare il coronamento del loro rapporto, ma già ancora
prima della partenza mostrava crepe e contraddizioni nel loro diverso modo di
riflettere su quel futuro nebbioso.
Andavano
via, questo si, lasciandosi alle spalle tante cose, una manciata di soldi
dentro le tasche e la voglia di ricominciare esattamente da quel punto, loro
due insieme, a sostenersi l’un l’altra, come fosse possibile azzerare ogni
passato. Era difficile far combaciare le idee, i propositi: avevano sei mesi di
autonomia, forse anche di più, poi avrebbero dovuto far funzionare le cose,
trovare un lavoro, sistemarsi in qualche maniera.
Nella
sala d’attesa, i tubi al neon sul soffitto generavano una luce nervosa, capace
di distogliere qualsiasi pensiero positivo: lei sentiva dentro di sé la voglia
di parlare, forse di spiegare a qualcuno la scelta estrema ormai già decisa, ma
si accontentava di osservare le persone indifferenti, quasi che in quelle facce
seriose stesse il segreto di tutto il futuro. Lui si sentiva convinto di ciò
che avrebbero dovuto affrontare, ripassava mentalmente ogni gesto che avrebbe
messo in pratica già dal giorno seguente, e il resto gli pareva soltanto una
sciocchezza di cui liberarsi al più presto. Dai megafoni una voce metallica seguitava
imperterrita ad annunciare arrivi, partenze, ritardi, itinerari più o meno
famosi, e la gente proseguiva a spostarsi da una parte all’altra della stazione,
seguendo indicazioni ed orari.
Poi
qualcosa parve librarsi nell’aria: lui le aveva toccato una mano come se avesse
bisogno di quel minuto contatto per sentire che non era da solo; lei aveva
sorriso, come a rassicurarlo da ogni pensiero diverso, che non fosse quella
convinzione profonda che doveva mostrarsi superiore a qualsiasi ripensamento.
Mancavano ormai poche decine di minuti prima di sentire la voce annunciare quel
loro treno, il momento si mostrava importante, forse, da qualche parte del loro
veloce riflettere, era già arrivata la proiezione di loro due a distanza di un
anno, o di due. Lui aveva tirato fuori la mano da dentro la tasca, l’aveva
osservata quasi a convincersi che contenesse davvero i biglietti di sola andata
per quella destinazione decisa, poi di nuovo era tornato ad osservare il viso
di lei, come depositaria di una verità che all’improvviso pareva sfuggirgli.
Lei
lo aveva guardato con un calmo sorriso stampato sopra la faccia, aveva
ascoltato la voce che annunciava finalmente, da un punto remoto dell’universo,
il loro futuro, e aveva cercato di infondergli un po’ di coraggio, quasi una
spinta ulteriore a perseguire ciò che avevano deciso in comune. Si erano alzati
in piedi, senza fretta, guardandosi, lui sentiva vicina la commozione, lei gli aveva
strinto un braccio quasi a rassicurarlo; poi, lentamente, avevano preso a
camminare verso il marciapiede che era stato indicato, si erano guardati ancora
diverse volte negli occhi senza parlare, e infine, quasi immersi in uno stato
di insensibilità, avevano preso posto dentro il loro scompartimento, ormai
quasi sicuri che tutto quanto sarebbe crollato nei giorni seguenti.
Bruno
Magnolfi
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