L’immagine
costruita nella mente sembra perfetta, quasi più di una fotografia già scattata
e stampata. Ripercorro lentamente le linee che ho intravisto, ed incornicio i
personaggi così come li ho immediatamente pensati. Un uomo, di profilo, in
primo piano, con le sue rughe sottili, che osserva da una parte qualcosa che
non è possibile vedere, e intanto assume un’espressione compiaciuta, quasi
sorridente. Due ragazze, un po’ più lontano, alle sue spalle, che camminano
serie, quasi senza interesse: la strada sembra poco più di un viottolo, mentre
si snoda tra qualche casa di pietra, forse un piccolo borgo di campagna, e sullo
sfondo alcune piccole colline qualsiasi, dove qualcuno sta lavorando la terra.
Mi distraggo
girando per casa, spostando qualcosa da una parte e dall’altra, accendo la
radio, ascolto qualche notizia, mi raggiunge ad un tratto una musica che pare
lontana, quasi fuori da quelle mie stanze. Allora prendo un foglio di carta e
qualche matita, ma tutto mi appare sbagliato, anche il solo sedermi al tavolino
vicino ad una finestra. Ripenso all’immagine che soltanto poco fa mi era
sembrata indelebile, senza neanche sapere perché, ma scopro che qualcosa è
cambiato, il senso di ciò che mi era passato sugli occhi soltanto un attimo fa,
adesso è diverso.
Inutile
inerpicarsi a comprendere, penso senza interesse; ogni variazione porta un
segno che sfugge, e anche se riesco a convincermi dell’importanza di fissare
dei punti salienti, il tempo che passa si prende un’immediata rivincita, e
rende insulso qualsiasi tentativo. Cerco di disegnare il profilo dell’uomo con
pochi segni leggeri: lui ad un tratto si volta verso di me, mi osserva
conservando il suo vago sorriso. Si è avvicinato dentro al mio foglio, ha
occupato ormai tutto lo spazio, sembra quasi che voglia parlarmi, ma rimane in
silenzio. Non è affatto uno specchio, penso mentre proseguo a tracciarne i
dettagli, è una persona che non conosco quella che scruta nella mia mente, ma è
proprio inutile che io cerchi di sfuggire a quel suo controllo: è lì, ma anche
dentro di me, anche qua attorno, devo semplicemente affrontarla, non esiste una
possibilità differente.
Mi alzo,
riprendo a camminare nelle mie stanze, la radio gracchia qualcosa. Il foglio di
carta, sollevato da una piccola corrente d’aria che ho prodotto muovendomi,
scivola a terra rovesciandosi. Lo tiro su prendendone un margine: l’uomo
disegnato ormai è una macchia grigia scomposta che adesso non ha più alcuna
sembianza, così lo appallottolo e lo getto dentro al cestino. Non ha senso che
cerchi di definire sempre qualcosa, penso mentre ripongo carta e matite: è
soltanto quel filo sottile che scorre lentamente senza rumore, che serve a
comprendere come tutto si snodi in mezzo alla massa scomposta dei propri
pensieri; ad un tratto è come se si fermasse, tu allarghi lo sguardo, senti che
è quello il momento in cui tutto è chiaro e la realtà sembra svelarsi. Poi,
come un’eclissi improvvisa, si rabbuiano tutte le cose che avevi immaginato in
quell’attimo, e il pensiero riparte, senza radici, sperso nello spazio
infinito.
Bruno Magnolfi
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