Per
tutta la notte il dolore alla mano non mi aveva mai abbandonato. Non ero quasi
riuscito a prendere sonno, e nel dormiveglia sentivo qualcosa alle dita che
proprio non andava, ma ciò nonostante sapevo di aver fatto la cosa migliore, e
questo mi dava ampio conforto. Rivedevo la scena in cui colpivo con un pugno ben
assestato il volto di quell’imbecille, che per non dare la precedenza alla mia
auto, proprio in prossimità dell’incrocio, aveva rischiato di rovinarmi la
carrozzeria, e quando gli avevo presentato le mie rimostranze dal finestrino,
aveva oltretutto inveito contro di me, urlando e mostrandosi subito aggressivo.
Forse ero stato un po’ sbrigativo, si, certo, lo ammetto senza problemi, però
non avrei potuto far altro, e poi riflettendoci, era in fondo proprio quello
che si meritava.
Rivedevo
la scena, i gesti, la sua brutta espressione; risentivo quelle poche parole che
ci eravamo scambiati, ripensavo tutto quanto, e mi pareva che ogni cosa si
fosse svolta in maniera perfetta: l’imbecille aveva avuto la lezione che ci
voleva, non si sarebbe meritato un trattamento diverso, ed io con piacere lo
immaginavo al pronto soccorso a farsi curare la faccia tremendamente indolenzita.
Certo che il pugno che gli avevo rifilato era stato davvero notevole, tanto che
quando avevo ripreso posto sulla mia macchina, anche per evitare di doverlo
colpire di nuovo, lo avevo lasciato sdraiato sopra l’asfalto, ma era
evidentemente soltanto una sua scena per cercare di mettermi in qualche difficoltà.
Generalmente
non mi piace fare il violento, trovo che le cose il più delle volte si possono
aggiustare anche in altra maniera, però secondo me in certi casi proprio non si
può farne a meno: agire diventa l’unico modo per sistemare le proprie faccende,
ne sono assolutamente sicuro. In fondo non mi importava un bel niente di quel
cretino totale, non l’avevo mai visto e sarebbe rimasto per me uno sconosciuto
completo: un deficiente qualsiasi, che non sa neppure guidare una macchina, che
pretende di essere dalla parte del giusto, e va in giro così, senza usare il
cervello, soltanto perché gli altri sono perfino troppo buoni a permettergli
cose del genere. Probabilmente era già molto tempo che qualcuno doveva dargli
una bella lezione, che sia stato io oppure un altro, alla fine, è solamente un
dettaglio.
Però
il mio pugno probabilmente era stato un po’ troppo forte, pensavo prima di
alzarmi dal letto, come se avessi messo dentro quel gesto anche qualcosa di
mio, un rancore che magari coltivavo da tempo, un nervosismo che spesso non
trovava un canale preciso verso cui indirizzarsi, se non un’occasione del
genere. Il dolore alle dita, per tutta la notte, era la prova evidente che
avevo accettato addirittura di farmi del male, pur di riuscire a scaricare la
tensione accumulata negli ultimi tempi. Pensavo che il giorno seguente non mi
sarebbe importato più niente della mia mano, l’avrei tenuta a riposo per
qualche tempo e tutto sarebbe tornato esattamente com’era: mi chiedevo soltanto
cosa doveva essere veramente successo a quel povero scemo che avevo lasciato là
a terra. Forse era riuscito ad alzarsi da solo, subito dopo; forse aveva addirittura
dovuto farsi aiutare. Probabilmente gli avevo buttato giù un dente, o anche più
d’uno; forse gli avevo rotto persino la mascella. Ma in fondo, alla fine di
tutti i pensieri, cosa mai mi importava: ero sicuro che un uomo deve
comportarsi da uomo, almeno in certe occasioni, il resto erano soltanto
sciocchezze.
Bruno
Magnolfi
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