Linnie
adesso è seduta, coi muscoli del corpo rilassati, quasi abbandonata sopra la
sua sedia, in una posizione leggermente scomposta, che forse, ad analizzarla
bene, non indica niente, nulla dei pensieri che sicuramente sono transitati
fino adesso dentro la sua mente. Un agente in divisa le si avvicina, dice
qualcosa di poco significativo, lei sorride per abitudine, quasi senza
intenzione, poi torna ad abbassare lo sguardo, e a ricomporre gli eventuali
pensieri che intenzionalmente può avere accantonato. La corsia dell’ospedale
brilla di una luce verdina irritante, ma si comprende che non potrebbe essere
altro che così, e i medici che percorrono il tratto di corridoio davanti a lei,
coi loro camici bianchi, rispecchiano la medesima sensazione diffusa di
fermento disumano.
Linnie
non ha la minima idea di che cosa sia accaduto nella testa di suo marito, però
sa che qualcosa doveva pur succedere, ne era convinta già da tempo, tanto da
rimanersene, durante certi giorni, in attesa di una notizia di quel genere. Una
parte di lui non le era stata chiara fin da subito, anche se non lo aveva detto
mai ad anima viva; ne era stata consapevole fin da quando lo aveva conosciuto
in quel bar anonimo nella zona nord della città, dove lei si faceva vedere solo
certe volte, con indifferenza, assieme alla sua amica di allora, persa di vista
poco tempo dopo. Però non le importava affatto, a quell’epoca, di tutti quegli
aspetti; era convinta che chiunque dovesse conservare, tra le proprie cose, un
elemento proprio di personalità e di persuasione, nessuno escluso, perché
quella era la vita, un percorso grigio in cui lasciar brillare di sé qualche
elemento.
Ma
tutto questo adesso non è assolutamente importante, pensa Linnie, la cosa
fondamentale è che lui non abbia veramente fatto male a nessuno quando lo hanno
tirato giù da quell’altana, e che abbia lasciato la sua carabina appoggiata
dentro l’angolo, senza puntarla addosso a chicchessia, e che non abbia opposto alcuna
resistenza quando lo hanno portato via in barella e messo dentro all’ambulanza.
A lei l’hanno avvertita subito dopo, le hanno detto che qualcosa non andava
dentro la testa del marito, e che dopo lo sparo lui si era rifiutato persino di
rispondere alle telefonate di servizio che avevano continuato a fargli, prima
di salire fino al suo posto di guardia. Non aveva più riconosciuto nessuno,
neppure i suoi vecchi colleghi, quasi amici: era rimasto chiuso dentro al suo
mutismo, nient’altro, e si era lasciato portar via senza dire niente, senza
fare nulla. Adesso, terminato l’effetto dei calmanti e di tutti gli altri
farmaci, soltanto lei poteva scuoterlo da quel torpore in cui era caduto, per
questo Lennie stava lì, invece di rimanersene a casa ad occuparsi delle cose di
ogni giorno, e ad ascoltare la sua radio.
Qualche volta lui le aveva
parlato di quegli strani fantasmi che si presentavano sopra quella altana, che
si muovevano in modo insensato, sussurravano cose irrazionali, ma lei non gli
aveva mai dato alcun peso, anzi, le era parso quasi normale che non si dovesse
pensare di esser soli in un luogo di quel genere. Lei aveva annuito quando ne
avevano parlato, si era fatta piccola di fronte all’importanza del suo compito,
come sempre immaginava, e delle sue parole, in quelle ore trascorse insieme al
suo fucile, preso in quella missione che portava sempre avanti, lei ne era
convinta, senza alcun tentennamento.
Forse
c’era la radio accesa quelle volte, se adesso ci pensava bene, ma la musichetta
rimaneva soltanto sullo sfondo, e poi per lei era quella l’unica compagnia della
sua vita, il solo passatempo che si permetteva, sprofondata in quel senso di
attesa in cui si articolava la maggior parte di tutte le sue ore, tra le cose
ordinarie di cui occuparsi dentro casa, mentre lui si preparava, e quei turni
di guardia importantissimi, fondamentali, al cospetto delle maggiori menti
criminali rinchiuse dentro al carcere. Tutto il resto era marginale, ne era
convinta, così come era sicura che niente sarebbe mai cambiato nelle loro
giornate, e lei avrebbe ancora potuto ascoltare la sua radio, imbambolata a
immaginarlo fermo, suo marito, sull’attenti, affascinato dal suo lavoro più che
da qualsiasi altra cosa, immerso come sempre nel suo turno di guardia.
Bruno
Magnolfi