Tutto
è contro di me, di questo sono ormai certo. Osservo i gesti, le espressioni, i
piccoli accenni di ogni persona che gira tra queste mura, e sono sempre più
convinto che sia così, che le mie non siano soltanto stupide fantasie. Per
questo da qualche giorno sperimento l’assenza del respiro, e sono già arrivato
a stare un tempo piuttosto lungo senza aprire bocca ed inghiottire l’aria, però
conto di riuscire a fare ancora dei progressi.
Se
non respiro non sono vivo, e se non sono vivo non sono qui, insieme agli altri.
Mi guardo attorno e mi sembra tutto sempre più distante. Gli infermieri del
padiglione parlano tra loro, certe volte, ma sempre sottovoce, per non farci
capire quali siano i loro argomenti. A me importa poco, so per certo che
cospirano, si sono messi in testa di tenerci qua dentro per tutto il tempo che
vogliono, senza darci alcuna possibilità di comprendere le cose: ci tengono
tranquilli, ci chiedono a volte qualcosa, ma sono tutte quante solamente finzioni.
Nei
miei confronti inscenano abitualmente una farsa; hanno capito che sono un osso
duro, che non gliela darò vinta facilmente, così spesso evitano persino di
rivolgermi le solite domande. Io sto seduto, il viso appoggiato nelle mani, gli
occhi vigili, e intanto mi esercito. Sono attento a tutto ciò che accade,
aspetto sempre il momento più opportuno, poi smetto di respirare. Posso cadere
in catalessi, questo lo so perfettamente, ma ancora attendo prima di arrivare
fino a quel punto, aspetto che sia il momento giusto, che le cose siano arrivate
alla maturità.
Il
tempo si dilata, grandi cerchi rossi appaiono intorno a me, le orecchie si
chiudono, non lasciano più arrivare alcun rumore, così le urla degli altri
rimangono lontane, come non esistessero. Nessuno sospetta niente, sono sicuro,
a volte fingo di muovermi con flessuosità per concedere l’impressione a tutti
che io sia ancora qui, tra queste mura, anche se in realtà è solo la mia
controfigura quella che riescono a vedere: l’immagine di un degente come gli
altri che respira, mangia senza sporcarsi, prende tutte le medicine senza
alcuna ribellione.
Invece
non ci sono; ormai la maggior parte del tempo la trascorro in assenza di
respiro, nessuno lo sa, nessuno se ne accorge, ed io mi lascio accompagnare da
questi cerchi rossi, fuori di qui, via da questi giorni inutili e dannosi. Non
chiudo mai gli occhi, lascio che mi credano afflitto dai miei pensieri, dalle
ordinarie preoccupazioni del malato, di chi perde un po’ per volta ogni speranza.
Invece è tutto il contrario, potrei ridere, mostrarmi divertito delle giornate
dietro a queste mura, anche se non farò mai un errore del genere: potrebbero
nascere sospetti, ed io non ne ho bisogno, non adesso perlomeno.
Entra
luce dalle finestre; io percorro il corridoio, la mia bocca è chiusa, forse
barcollo per un po’, e infine cado a terra, me ne rendo conto prima di perdere del
tutto i sensi e lasciare che i miei occhi si chiudano per automatismo. Quando
li riapro sento di essere contento: non ho ancora ripreso a respirare, tutti si
affannano intorno alla mia controfigura; io non ci sono, non sono più qui con
loro, il mio esperimento è riuscito perfettamente; così lascerò per un tempo
indefinito che si prendano cura come vogliono di questo corpo, e intanto me ne
andrò in giro dimenticandomi di questa compagnia, di queste mura: per vedere
ancora i cerchi rossi, se voglio, e respirare l’aria vera.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento