Immagino
le orme dietro di me, impresse sulla sabbia umida quasi in una linea ordinata e
regolare, forse soltanto leggermente ondeggiante, mentre continuo a camminare
sulla riva del mare deserto evitando con accuratezza di voltarmi indietro, ad osservare la cruda realtà. Cammino senza
una meta, cerco di godere del sole e di questo immenso mare calmo e azzurrino,
senza pensare più niente, se non le cose piacevoli, e con leggerezza, lasciando
affiorare qualche ricordo divertente, che non chieda il mio impegno.
Qualcuno ha lasciato una busta stropicciata sotto alla mia
porta, forse ieri sera, o stamani presto, non so. Il biglietto ripiegato dice che
devo andarmene da qui al più presto possibile. La mia vacanza è finita, spiega
qualcuno in uno stampatello oscuro e scritto di fretta con una matita. Non ho
voglia neppure di riflettere su chi possa avere interesse a fare una cosa del
genere: in fondo chi ha scritto queste parole ha ragione, non ha più senso per
me stare qui, anche se non so dove altro andare. In fondo il mio è davvero una
specie di esilio, un allontanarsi volontariamente da tutto, quasi per mostrare
a tutti quanti la mia capacità di rinascere, di non perdermi d`animo nonostante
le avversità che mi hanno accompagnato sinora.
Rifletto, anche se non vorrei:
probabilmente la dimostrazione che cerco di dare, incaponendomi qui, vale
davvero soltanto per me, a conferma delle mie capacità camaleontiche, del mio
essere fuori da tutto, sfuggente, buono però a sfruttare qualsiasi occasione
che sfugge a tutti quegli altri. Per
questo resisto, per sentire che sono come mi sento da sempre, per provare che
riesco a farcela, che non ho bisogno di niente di quello che gli altri
elemosinano. Sono ricco di spirito, questo è l’aspetto che conta e che mi
ripeto quasi ogni giorno quando esco di casa e vengo fin qui, a passeggiare e
nient’altro. Il resto è soltanto abitudine al mondo, gesti ordinari che evito
con il pensiero, pur lasciandomi immergere in certi comportamenti quasi scontati.
Non capisco proprio a chi dia
fastidio, ma non mi va neppure di perdere tempo a cercare di capire quale sia
la mano che ha scritto quelle parole sopra al biglietto. Forse però quelle
frasi dicono il vero: devo decidere qualcosa, la mia residenza in questo luogo
è a termine, lo era fin dall’inizio, ma adesso ne ho una coscienza maggiore.
Raccolgo un legnetto bianco e levigato da sopra la sabbia, e forse vorrei
assumere dentro di me le proprietà di questo piccolo ramo: quelle di
galleggiare senza preoccupazioni, quasi con indifferenza nei confronti dei
venti, delle correnti, delle burrasche. Vorrei approdare in un luogo qualsiasi,
lasciare appena un’ombra dietro di me, e sedermi all’ora del tramonto ad
osservare prospettive lontane.
Poi volto ad angolo retto, torno
verso la strada asfaltata, torno a casa, quella che non è la mia casa, anche se
proseguo a far finta che davvero lo sia, ed incrocio una persona che mi guarda
e che io non conosco. Forse è il rappresentante di tutti quelli che non mi
vogliono qui, penso per gioco; lo supero, me ne disinteresso, ma quello mi
chiama, sembra proprio voglia dirmi qualcosa. Mi volto, lo guardo con maggiore
attenzione: ha perso qualcosa, mi dice, qualcosa che forse per altri non è
quasi niente, ma certe volte per qualcuno può avere una grande importanza.
Ringrazio sorpreso, guardo a terra il legnetto di prima, poi lo raccolgo.
Bruno Magnolfi
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