martedì 16 aprile 2013

Migrazioni di ricordi.


            
            Le giornate si sono fatte lunghe, e il caldo adesso si fa già sentire, pensa il vecchio Luigi osservando di là dai vetri le piccole foglie verdissime degli alberi e dei cespugli nel giardino. Forse potrei andarmene, riflette, magari in questo periodo, proprio in una giornata simile a questa. Partire, ecco, senza neppure una meta definita, quasi nella stessa maniera di quelle persone che ad un tratto si perdono, nessuno le ha più viste e loro, chissà, vagano in qualche zona neppure troppo distante, con la mente smarrita dietro qualcosa di inspiegabile. Andarmene a vedere una realtà che fino adesso non sono neppure riuscito ad immaginare, e perdermi anche io lungo qualche contrada del mondo che non sapevo neppure esistesse fino ad ora, e forse trovare laggiù il senso delle cose.
            Se non fosse per queste gambe che quasi non mi tengono più in piedi, pensa Luigi, e la preoccupazione che continuo a provare per mio figlio, anche se mi dice che ormai si è sistemato, che lavora bene, ma che a me continua ad apparire fragile, senza la forza che ci vuole per affrontare le cose di oggi. Lui viene ogni tanto a farmi visita, magari di fretta e sempre più di rado, però si fa vedere ancora almeno una volta o due ogni mese, questo è vero, ed io faccio sempre finta che sia una bella sorpresa in mezzo a tante altre che mi capitano quasi ogni giorno, per non fargli pesare niente, e convincerlo che sto bene qui, che non mi manca nulla, e che ogni età ha la sua fase, come sempre gli spiego: vai adesso però, gli dico senza lasciarlo cercare dentro di sé altre cose da dire, che mi aspettano per la partita a carte, anche se poi non è del tutto vero.
            Viene una persona qui da noi, una volta alla settimana mi pare, ci piazza tutti assieme nella saletta, noi quattro o cinque che abbiamo voglia di seguire le sue spiegazioni, e ci incoraggia a ricordare, a sforzare la mente, a parlare di noi stessi, uno per volta, di tutte le cose che ci sono capitate anche tanti anni fa. Lui prende appunti, certe volte ci registra, poi mette tutto assieme con pazienza, e in certi giorni ci legge ad alta voce le nostre storie, come l’avessimo proprio scritte noi.
            Non so come sia, pensa ancora il vecchio Luigi, ma ogni volta che comincio a ricordare tutte quelle cose di una volta, di quando ero giovane e avevo tante idee, mi viene subito voglia di partire, di andarmene da qui, di viaggiare verso posti che non ho mai visto e che neppure immagino, tanto sono strani e particolari. Arriva questo che ci fa impegnare con le storie di una volta, e d’un tratto tutto mi sembra ancora possibile, come si potesse tornare giovani e con le gambe buone. Ho cercato di dirglielo, riflette poi Luigi, ma lui mi ha solo sorriso, con tutta la pazienza che ci vuole con noialtri. Non ho bisogno di dimostrare niente, pensa ancora, però l’idea di andare via mi fa sentire bene, e forse lui è riuscito a comprendere il mio pensiero al volo, senza bisogno d’altro.
            Anche lui non si trattiene molto, dice adesso il vecchio Luigi solo a se stesso. Riprende i fogli, le matite, quel suo registratore, e dice che ci vediamo presto, di aspettarlo, e che noi dobbiamo soltanto compiere quel piccolo sforzo che ci chiede sempre: ricordare, è questa la sua parola d’ordine, come se tutto il nostro futuro quasi dipendesse ormai da questa. Ed io ci penso, scrive Luigi in quei suoi appunti; soltanto che i miei non sono più proprio ricordi, sono speranze, voglia di vedere ancora cose nuove, di assaporare almeno una piccola porzione di futuro. Dobbiamo scrivere anche questo, gli dice all’operatore che torna quasi ogni settimana. Quello sorride, fa cenno di si con la testa: a lui gli basta, è così che si fa quando si è capito.

            Bruno Magnolfi

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