Liliana
spesso prova un’ansia, una specie di frenesia: vorrebbe quasi correre,
spingersi oltre, fare in fretta, come non ci fosse più tempo o quasi che tutto
le sfuggisse di mano. Durante il giorno certe volte le pare di non avere
neppure la possibilità di riflettere, così rimanda tutto alla sera, quando si
sarà coricata nel suo letto, anche se poi la stanchezza ed il bisogno di
dormire prendono sempre il sopravvento sul resto.
Lei
lavora insieme ad altre otto ragazze in un grande ufficio dove sbrigano
pratiche aziendali, ognuna china sulla propria scrivania, preparando le buste
paga del personale di diverse piccole ditte di quella zona, e in orario di
lavoro non c’è mai tempo per fare niente se non lavorare e nient’altro, con
tutti quei numeri da inserire e incasellare che certe volte sembrano quasi
rincorrersi.
Il ragioniere,
titolare dell’ufficio, se ne sta quasi sempre chiuso nella sua stanza, uscendo
un attimo ogni tanto giusto per controllare che tutte le ragazze facciano
quello che lui chiama il proprio dovere, limitandosi a ricevere ogni tanto
qualche piccolo imprenditore o qualche capo ufficio del personale delle società
un po’ più grandi. Ma quando ha bisogno di qualche informazione, chiama sempre
Liliana, e lei corre, qualsiasi altra cosa stia facendo in quel momento,
cercando di essere sempre pronta a rispondere e a fornire tutti i chiarimenti
che servono, anche se a volte si vede che fa un certo sforzo, o che prende
tempo, mostrando la faccia arrossata.
Le
altre la guardano storta in qualche caso, ma non ha alcuna importanza; lei si
sente bene così, e guai a parlar meno che bene del suo ragioniere in sua
presenza, lei non vuole sentire delle stupide argomentazioni. Qualcuna di loro
dice che lei non ha altro fuori da quell’ufficio, e che forse sarebbe disposta persino
ad andarci a letto con il suo ragioniere, solo se lui glielo chiedesse. Liliana,
le dicono certe volte le altre; non ti ha ancora chiamata oggi il tuo
ragioniere?; e poi ridono sottovoce, tutte insieme, ma lei si rimette subito
sopra ai registri, perché tanto quei discorsi non servono a niente, e quelle
ragazze secondo lei non faranno mai alcuna strada. Forse neppure lei, pensa subito
dopo, potrà mai fare qualcosa di diverso se non quello che sta già facendo.
Però almeno ci provo, pensa Liliana, provo a far bene il lavoro che mi viene
affidato, ad imparare più cose che posso, ad interpretare al meglio i miei
compiti.
Quando
termina l’orario di lavoro Liliana è sempre l’ultima ad uscire da quell’ufficio.
Bussa lievemente alla porta del ragioniere e lo avverte che le ragazze sono già
andate, non c’è più nessuno, e che se lui non ha bisogno di altro potrebbe
andarsene a casa anche lei. Il ragioniere le sorride, forse calcola quanto lei
sia una buona alleata, come dicono le ragazze anche in termini peggiorativi, ma
va bene così, non c’è proprio bisogno di chiederle ulteriori sacrifici. Ed al
termine di una giornata qualsiasi, il ragioniere le dice di entrare, non c’è
più nessuno, di accomodarsi, di sedersi di fronte alla sua scrivania. Non c’è
più lavoro, dice di fretta; io ho accettato un impiego all’interno di una
grande azienda, e questo ufficio si chiude, ad iniziare già dalla prossima
settimana. Liliana fa cenno di si, ha gli occhi sgranati. Lentamente si alza da
quella poltroncina, stringe la mano al suo ragioniere; poi non le resta da far
altro che andarsene.
Bruno
Magnolfi
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