lunedì 7 marzo 2011

Il miracolo quotidiano.


                

Mi ero preparato per uscire, in mente una leggera passeggiata senza impegno, indosso le scarpe adatte e gli abiti comodi e usuali di qualsiasi giorno, indifferenti alla ricorrenza festiva. Il mio appartamento pareva profumato di polvere impalpabile, di aria ferma e trasparente nei timidi raggi di sole pallido che penetravano dalle fessure tra le tendine alle finestre; l’ordine apparente delle cose mostrava gli oggetti ordinari al loro posto, esclusa qualche piccola sciocchezza appoggiata con noncuranza su un mobile o sul piano di una sedia. La serratura della porta, una volta varcata la soglia, era subito scattata in conformità al proprio meccanismo, i giri di chiave abituali garantivano la sicurezza dell’appartamento durante la mia assenza. I miei pensieri, giusto per un attimo, si soffermavano ogni volta con naturalezza su qualsiasi particolare preso in esame.
            Uno strano silenzio lungo le scale, assieme  al fresco del marmo dei gradini e dell’intonaco perennemente immersi in una penombra ordinaria, dava un senso di calma, di perfetta tranquillità, come se nulla dalla parte interna dei portoncini degli appartamenti, ben chiusi ai pianerottoli condominiali, potesse mai movimentarne troppo l’uso: sarebbe bastata una parola a voce alta, pensavo scendendo con calma, una risata sguaiata dal fondo di una stanza chissà dove, un rumore qualsiasi, forse, e tutto avrebbe preso vita, come in una dimostrazione chiara dei comportamenti abitudinari di cui neppure tener conto; invece niente, fino a giungere alla strada. 
            I miei passi lungo la via: quelli di ogni giorno; i miei gesti camminando: quelli di chiunque quando si muove lungo il marciapiede. La solita piazzetta col giardino che appariva quasi deserta, gli alberi immobili che ne calcavano i contorni intristendone l’aspetto. Sopra una panchina, seduti e come incapaci di prendere una qualsiasi decisione, restava una donna insieme ad un bambino forse imbronciato, annoiato di qualcosa, senza soluzione. Mi ero avvicinato, lanciando un semplice buongiorno sottovoce, poi mi ero seduto accanto a loro. Non era possibile parlare del tempo o di quel piccolo giardino, così avevo fischiato quasi un richiamo, come se avessi avuto un cane che mi seguiva, attardato lungo le piste degli odori tra i cespugli e i bordi delle aiuole.
            Mi piacerebbe avere un cane, avevo detto senza convinzione; purtroppo ho sempre poco tempo per dedicarmi a qualcosa che non sia il lavoro all’agenzia delle assicurazioni. Perché tenere in casa una bestiola vuol dire dedicargli ogni momento, è semplicemente questione di elementare civiltà, oltre che di affetto e di coscienza. Il bambino mi aveva fissato con interesse, dimenticando il broncio, la sua presunta mamma invece aveva continuato imperterrita a sfogliare una rivista. Non c’è alcun bisogno di guardare gli altri, avevo continuato, per decidere cosa vorremmo fare di diverso per non assomigliare a loro. Si tratta di sentirsi a proprio agio, fare le stesse cose che vorremmo tutti facessero, indipendentemente da qualsiasi senso critico nei confronti di chicchessia.
            Inutile emergere solo per semplice immagine di qualcosa che magari ci accomuna tutti quanti, avevo continuato; dovremmo cercare di essere migliori solo per noi stessi, ma senza cadere mai nell’individualismo, anzi, preparandoci ogni giorno per la vita sociale, per un comportamento che tenga conto di quanto sia impossibile non assumere il collante della solidarietà. Un pausa di silenzio era subentrata dopo le mie ultime parole. Sulla panchina un vago senso di imbarazzo si era fatto strada, la donna aveva distolto lo sguardo dalla carta patinata del giornale, mi aveva osservato per un attimo come cercando conferma a ciò che aveva ascoltato, poi, con titubanza, aveva preso tra le sue la mano del bambino, si era alzata, e con un semplice buongiorno indiretto si era allontanata lentamente. L’avevo guardata mentre andava via, e mi era venuto da sorridere: in fondo, pensavo, riuscire a parlare con qualcuno, per una persona come me ormai più che abituata a vivere da sola, era già un vero miracolo; non c’era niente di male in tutto il resto, anzi, ogni cosa pareva dondolarsi nella più assoluta normalità: niente di diverso.   
   
            Bruno Magnolfi
           
            

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