Sto
seduto nella mia cella, su questa piccola panca di legno senza schienale, mentre
il tempo stilla lentamente l’espiazione dei miei presunti peccati. Certe volte
ripenso ai miei errori, ma non ne trovo mai di fondamentali, se non
quest’essermi lasciato andare a vivere come tutti gli altri, senza scelte
precise ritagliate intorno alla mia vera indole. Poi esco, vado per strada ad
incontrare le persone, qualcuna mi saluta, ed arrivo sempre in fondo al corso,
dove si apre la piazza che preferisco. Mi siedo su una panchina di pietra e mi
pare che tutto si muova come in una giostra, ritornando continuamente al punto
di partenza. Fa ridere la mia espressione assorta, penso; forse dovrei
semplicemente smettere di essere così, e probabilmente anche di pensare.
Siede
accanto a me una persona anziana, sembra indifferente a tutto, invece dice
qualcosa, un ordinario apprezzamento al bel tempo di oggi, invitandomi così alla
conversazione, ma senza impegno. Rispondo alle sue parole, lui si gira
leggermente verso di me, poi fa una pausa. Dice sottovoce di chiamarsi Armando,
di portare su di sé ormai parecchi anni, ma di non avere alcuna voglia di
morire. Sorrido, annuisco, chiedo con garbo se faccia qualcosa per ovviare a
questo inevitabile inconveniente. Cerco di parlare con le persone, dice. Cerco
di raccontare agli altri quello che mi ricordo, le piccole sciocchezze accadute
quando ero un ragazzo, o anche prima, e di come si riusciva ad essere persone
anche senza l’uso della tecnologia.
Nessuna
nostalgia, immagino, dico senza enfasi. No, fa subito: assolutamente. Non ha
alcuna importanza quello che accade di nuovo, importante è non farsi prendere
la mano, le persone sono sempre uguali, soffrono e gioiscono delle stesse cose:
a volte hanno la fortuna di poter raccontare qualche fatterello che è successo
nel corso della propria vita, e questo è quanto di maggiormente importante per
la loro salute mentale.
Apprezzo
la schiettezza e l’incisività delle parole che mi ha dedicato Armando, mi alzo
con calma dalla panchina, gli stringo la mano con calore e lo saluto: devo
andare, dico. Lui mi spiega che con probabilità ci rivedremo, perché siamo persone
che dedicano importanza ad una cosa apparentemente sciocca come questa piazza,
dice. Torno sui miei passi, rifletto che tornerò nella mia stanza a crucciarmi
di nuovo con le mie povere cose, ma non posso fare altro.
Ripenso
ad Armando mentre salgo svogliatamente le scale del condominio. In fondo ha
perfettamente ragione, penso: cosa c’è di più importante dell’avere ancora
qualcosa da dire agli altri, mettere insieme delle storie che parlino di noi,
delle nostre esperienze, della vita oggettiva e concreta. Decido che rifletterò
a lungo su questo argomento stasera, le sue parole lo meritano, e in fondo è la
cosa migliore a cui posso dedicare ancora del tempo, prima che la mia mente si
chiuda del tutto attorno ai miei isolati pensieri.
Bruno
Magnolfi
Mi è piaciuto davvero tanto.
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