sabato 29 giugno 2013

Quasi niente. (Pausa n. 1).

          
            Nella mia stanza non c’è niente che sia fuori posto. Mi volto, osservo le pareti bianche della stanza, il lampadario al centro del soffitto, tutti gli oggetti al loro posto, poi torno a guardare fuori dai vetri di questa mia finestra. Di fronte c’è soltanto il muro grigio di un caseggiato del quartiere, e certe volte come adesso mi soffermo ad osservarlo, come se lo vedessi ogni volta per la prima volta, o come se quell’intonaco ad aloni scuri di umidità e leggermente scrostato avesse assunto con gli anni e in tutto questo tempo un significato speciale.
            Mentre sono qui sento la porta socchiudersi alle mie spalle, ma non mi volto, lascio che chiunque sia resti lì sulla soglia ad osservarmi, oppure faccia la sua parte fino in fondo: dica qualcosa, per esempio, oppure formuli una semplice domanda, affermi in qualche modo la sua presenza dentro questa stanza. Passa qualche minuto e non succede niente. Il muro di fronte a me si muove leggermente verso destra, e più in alto i nembi-cumuli scorrono con la loro solita lentezza.
            Penso che questo non succedere niente sia già di per sé un importante accadimento, perciò proseguo con la mia immobilità: respiro in modo regolare, muovo gli occhi lungo gli orli degli aloni di umidità del muro, e non mi pare ci sia altro di importante a cui dar seguito. Sento la porta richiudersi alle mie spalle: chiunque sia stato per questo breve tempo dietro di me, penso, ha usato l’accortezza di lasciarmi alle mie cose, alle mie riflessioni evidentemente non condivisibili.
            Le nuvole si spostano, il muro pare inclinarsi mentre la luce sembra giungere in modo più obliquo di poco prima. Mi volto per tornare ad osservare di nuovo questa mia stanza: qualcosa di impercettibile è accaduto, penso, però non so distinguerlo. Mi sforzo, guardo i mobili, le pareti, quel lampadario al centro del soffitto. Infine mi alzo dalla sedia, mi scosto dal mio punto di osservazione preferito, mi muovo verso la porta, ma lentamente, come sospettoso, meditando con accuratezza ogni passo e ogni spostamento.
            Giro la maniglia, la porta si apre, nel corridoio non c’è nessuno. Richiudo, torno alla finestra: attenderò ancora che qualcosa accada, penso, che le nuvole forse entrino per conto proprio dentro questa stanza, scorrano lungo il soffitto e sopra le pareti, e che qualcuno le scolpisca, dia loro delle forme che siano riconoscibili, e riesca a plasmarle in oggetti veri, meno effimeri, in cose reali e concrete, quasi in fogge architettoniche, e che tutto ciò che deve succedere succeda, una volta per tutte.


            Bruno Magnolfi

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