In fondo siamo
soltanto io e te in questo comodo abitacolo. E secondo me è già troppo tempo
che stiamo immobili, lo dico con tutta la tranquillità possibile, anche se tu
obietterai immediatamente che in altri momenti abbiamo girato vorticosamente
anche per dei lunghi periodi recandoci in tutti quei luoghi che volta per volta
ci è venuta la voglia di visitare, prima di giungere alla risoluzione di
fermarci e di stazionare qui, in questo bel posto dove stiamo adesso. Ciò che
non comprendo però è come tu non senta adesso il desiderio, anzi la necessità
quasi impellente di tornare a muoverci, e di navigare ancora, di andare come
minimo in visita di qualche nuova realtà; forse però questo tipo di sentimento è
soltanto mio, rifletto certe volte, e a te basta soltanto startene qua dentro,
nel nostro spazio chiuso e così protettivo.
Non è questo, fa lei;
probabilmente è soltanto una questione di abitudini: sapere dove siamo, il
perché, conoscere perfettamente tutto quanto ciò che ci circonda. Se non ci
fosse questo abitacolo a racchiudere ogni nostro piccolo gesto, certo, sarebbe
senz’altro una cosa diversa. Credo che là fuori tutto ciò che si muove sia
costantemente un pericolo imminente per noi, ma questo dove noi stiamo è
semplicemente il nostro mezzo di salvataggio, la nostra sicurezza, ed io
prediligo stare all’interno di in un luogo riparato immerso in una realtà che
potrebbe anche esserci ostile. Ma forse tutto ciò non sarebbe ancora del tutto
sufficiente, se non ripensassi ogni momento all’impegno ed all’intensità con le
quali poco per volta insieme a te mi sono introdotta, immersa, radicata in
questo territorio, e di quanto adesso io senta come di farne parte, di
costituirne proprio un pezzetto.
I nostri pensieri
uniti potrebbero da soli anche spostare tranquillamente l’abitacolo, dico io,
magari di poco, giusto quel tanto che basta per mostrarci qualcosa di nuovo, e
parlo di questo quasi sorprendendomi addirittura delle mie parole in fondo così
tolleranti. Però credo potremmo fare almeno una prova, uno di questi giorni,
senza neppure troppo impegno, quasi adottando una certa leggerezza di spirito,
tanto per scoprire l'effetto che ne può scaturire. In fondo gli ancoraggi non
sono cosi stabili e irrigiditi, non ci vorrebbe poi molto a rimuoverli, si
potrebbe tentare senza che questo ci debba per forza cambiare abitudini e modi
di essere.
Può darsi, dice lei dubbiosa; ed una prova del
genere penso sarebbe persino possibile farla, anche se non credo molto nei piccoli
spostamenti di questo tipo: se la traslazione dell’abitacolo è limitata, questa
non ha molto senso; se invece è notevole allora diventa una vera e propria
migrazione. Certo, potremo studiare il giusto equilibrio tra questi due
estremi, ma essendo le nostre personalità così differenti come tante volte
abbiamo constatato, e avvertendo quasi regolarmente delle percezioni della
realtà piuttosto diverse tra le mie e le tue, finiremo inevitabilmente per
avere uno scontro. Ed è questo il motivo principale che mi fa optare ancora per
la sosta, l'immobilismo come lo vuoi chiamare.
Va bene, hai ragione. Ma adesso che io ho sollevato
il problema non sarà più possibile tenere nascosto tutto quanto: la
movimentazione o meno dell'abitacolo diverrà qualcosa che da ora in avanti
segnerà probabilmente le nostre giornate e i nostri rapporti, perciò credo che
rimanere fermi non sarà più possibile, qualcosa dovrà comunque essere fatto, ed
ogni decisione avrà senz'altro bisogno di una ponderatezza superiore a quella
che abbiamo usato fin qui. Va bene, fa lei: allora continueremo a parlarne e a
costruire modelli e propositi, fino a
quando probabilmente tutto questo avrà perduto completamente di senso,
ma noi comunque saremo coscienti che ogni tentativo possibile sarà stato almeno
pensato.
Bruno Magnolfi
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