Sono
stanca, pensa lei mentre mette un po’ di ombretto intorno agli occhi. Lo
specchio, considerata la sua età, evidentemente già da qualche anno le rende
un’immagine impietosa, ma in fondo questo non è neppure un elemento per lei
troppo importante. Forse non si è mai veramente piaciuta però, ecco il punto
vero, e l’indulgenza con cui ha da sempre trattato l’osservazione di se stessa,
adesso per colmo sembra come svanire lentamente, lasciando quasi spazio ad una
costante e severa autocritica. Forse ci vorrebbero delle variazioni importanti,
pensa, dimenticare di colpo la monotonia di questi giorni tutti simili, magari
ricoprendola almeno qualche volta con delle cose nuove, con qualche elemento
differente da tutto il resto, senza dimenticare mai comunque l’alveo in cui si
muovono con maggiore naturalezza tutti i miei fondamentali desideri.
Suona
il telefono, è lui, sorridente e spiritoso come ogni volta, e dopo qualche
carineria le dice con apparente dispiacere che per questa settimana purtroppo è
proprio impegnato, e che quindi non si potranno vedere, perché il lavoro senza
dubbio rimane sempre un ingrediente necessario e irrinunciabile di ognuno,
anche se a volte un po’ troppo ingombrante ed invadente. Riattaccano, in fondo
va ancora tutto bene, si dice lei dentro lo specchio, ma il suo sorriso mostra
adesso a ben guardare come delle piccole grinze quasi di rabbia: purtroppo
niente ultimamente va più come lei davvero vorrebbe, ed anzi piuttosto spesso
le pare che tutto stia sfuggendole di mano, e che certe volte la realtà si
appropri autonomamente proprio di qualsiasi cosa, in qualche caso persino di
ogni suo più vero desiderio.
Decide
di uscire, indossa qualcosa e poi va giù lungo le scale. Fuori non fa neppure
troppo freddo, così la solita gente confusa del pomeriggio sembra ingombrare
qualsiasi marciapiede. La saluta la signora del negozio di generi alimentari
sotto casa, perennemente sulla porta ad attendere clienti e a curiosare sul
vicinato mentre il figlio rimane dietro al banco, e lei si ritrova come specchiata
in quel consueto gesto cortese ma monotono.
Si sente sola come sempre ad affrontare l'attraversamento dello spazio
tempo, quelle onde telluriche quotidiane che tremano impercettibilmente sotto
le sue scarpe, ma lei improvvisamente sa di stare bene, orgogliosa di qualcosa
che le appartiene anche se pare come sfuggirle dalla comprensione. In fondo non
c'è niente di diverso tra lei ed una persona più o meno come lei, un prototipo
utilizzato diffusamente per popolare le città, un ingrediente ordinario nella
costituzione generale della gente. Si immerge tra i suoi simili, e questo
appare un gesto di fondante socializzazione, anche se a lei non costa nulla.
Quando
rientra si sente ancora più abbattuta, senza essere riuscita neppure a mettere
sufficientemente a fuoco ciò che le manca veramente. Torna a guardarsi nello
specchio: il suo viso adesso sembra la maschera sogghignante di una nuova
giornata senza grande senso. Si siede, cerca qualcosa di cui occuparsi, ma
niente le pare troppo urgente oppure di un minimo interesse, così si stende,
chiude gli occhi, tenta di dimenticare almeno per qualche minuto tutto quanto.
Suona il telefono, lei si scuote, raggiunge l’apparecchio, alza con curiosità
il ricevitore, dice pronto dentro la cornetta: scusi, dice qualcuno; ho
sbagliato numero.
Bruno
Magnolfi
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