giovedì 18 febbraio 2016

Semplici errori della quotidianità.

           
            Sono stanca, pensa lei mentre mette un po’ di ombretto intorno agli occhi. Lo specchio, considerata la sua età, evidentemente già da qualche anno le rende un’immagine impietosa, ma in fondo questo non è neppure un elemento per lei troppo importante. Forse non si è mai veramente piaciuta però, ecco il punto vero, e l’indulgenza con cui ha da sempre trattato l’osservazione di se stessa, adesso per colmo sembra come svanire lentamente, lasciando quasi spazio ad una costante e severa autocritica. Forse ci vorrebbero delle variazioni importanti, pensa, dimenticare di colpo la monotonia di questi giorni tutti simili, magari ricoprendola almeno qualche volta con delle cose nuove, con qualche elemento differente da tutto il resto, senza dimenticare mai comunque l’alveo in cui si muovono con maggiore naturalezza tutti i miei fondamentali desideri. 
            Suona il telefono, è lui, sorridente e spiritoso come ogni volta, e dopo qualche carineria le dice con apparente dispiacere che per questa settimana purtroppo è proprio impegnato, e che quindi non si potranno vedere, perché il lavoro senza dubbio rimane sempre un ingrediente necessario e irrinunciabile di ognuno, anche se a volte un po’ troppo ingombrante ed invadente. Riattaccano, in fondo va ancora tutto bene, si dice lei dentro lo specchio, ma il suo sorriso mostra adesso a ben guardare come delle piccole grinze quasi di rabbia: purtroppo niente ultimamente va più come lei davvero vorrebbe, ed anzi piuttosto spesso le pare che tutto stia sfuggendole di mano, e che certe volte la realtà si appropri autonomamente proprio di qualsiasi cosa, in qualche caso persino di ogni suo più vero desiderio.
            Decide di uscire, indossa qualcosa e poi va giù lungo le scale. Fuori non fa neppure troppo freddo, così la solita gente confusa del pomeriggio sembra ingombrare qualsiasi marciapiede. La saluta la signora del negozio di generi alimentari sotto casa, perennemente sulla porta ad attendere clienti e a curiosare sul vicinato mentre il figlio rimane dietro al banco, e lei si ritrova come specchiata in quel consueto gesto cortese ma monotono.  Si sente sola come sempre ad affrontare l'attraversamento dello spazio tempo, quelle onde telluriche quotidiane che tremano impercettibilmente sotto le sue scarpe, ma lei improvvisamente sa di stare bene, orgogliosa di qualcosa che le appartiene anche se pare come sfuggirle dalla comprensione. In fondo non c'è niente di diverso tra lei ed una persona più o meno come lei, un prototipo utilizzato diffusamente per popolare le città, un ingrediente ordinario nella costituzione generale della gente. Si immerge tra i suoi simili, e questo appare un gesto di fondante socializzazione, anche se a lei non costa nulla.
            Quando rientra si sente ancora più abbattuta, senza essere riuscita neppure a mettere sufficientemente a fuoco ciò che le manca veramente. Torna a guardarsi nello specchio: il suo viso adesso sembra la maschera sogghignante di una nuova giornata senza grande senso. Si siede, cerca qualcosa di cui occuparsi, ma niente le pare troppo urgente oppure di un minimo interesse, così si stende, chiude gli occhi, tenta di dimenticare almeno per qualche minuto tutto quanto. Suona il telefono, lei si scuote, raggiunge l’apparecchio, alza con curiosità il ricevitore, dice pronto dentro la cornetta: scusi, dice qualcuno; ho sbagliato numero.


            Bruno Magnolfi 

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