Improvvisamente piove, miseria cane, per questo mi
sono infilato di corsa in un vecchio portone rimasto accostato, senza neppure
guardare la facciata della casa o che cosa ci fosse intorno. Invece adesso con
più calma vedo che qua dentro c'è un androne praticamente abbandonato, ed
accendendo uno dei miei fiammiferi fortunatamente rimasti asciutti, mi rendo
conto che tutto è polveroso, pieno di ragnatele, cadente, sicuramente in disuso
chissà da quanti anni. La scala principale è addirittura sbarrata con una
specie di transenna legata al corrimano con un filo di ferro, immagino forse
perché i solai al piano superiore sono malmessi e pericolanti, ma una stretta
rampa su un lato di questo ingresso sembra scendere invece senza alcun
impedimento. Così con titubanza metto il piede su quei gradini di pietra
sfruttando l'ultima luce della fiammella, poi però accendo subito un altro dei
miei fiammiferi.
C'è un vano piuttosto grande qua di sotto, e in mezzo
allo spazio un vecchio tavolo con qualche sedia e anche un divano coperto con
un telo. Una finestrella lascia entrare la luce di un lampione della strada, e
a me sembra che tutto vada più che bene, anche soltanto per trascorrere in
qualche modo questa serata uggiosa, cosi mi do da fare per sistemarmi nella
maniera migliore, provo una sedia, appoggio su uno scaffale le mie stupide
cose, cerco di raccogliere in qualche modo le mie idee per far funzionare al
meglio tutto quanto. Non è per niente male questo posto, persino come
abitazione, rifletto immediatamente, e comunque è sempre meglio che tornarsene
alla stazione ferroviaria, oppure, come a volte succede, passare la notte coi
cartoni sotto ai portici.
Mentre sto qua a godermi questa situazione bello
tranquillo, sento però giungere dei rumori sospetti abbastanza ravvicinati, e
dopo un attimo, accompagnato dalla luce inquietante di una torcia elettrica,
arriva lui, il legittimo abitante di questa topaia. Come sei entrato?, mi fa
subito sgarbatamente. Be', la porta era aperta, gli dico, ma se vuoi posso anche
andarmene. Certo, fa lui, questo non è il tuo posto, vattene in giro a cercarti
qualcos'altro. Va bene, gli fo, ma potremo almeno aspettare che smetta di
piovere, così evito di bagnarmi più di come sono. D’accordo, fa lui, comunque
mettiti da una parte e evita di rompere, che ho già i miei guai. Così mi piazzo
su una sedia, frugo dentro le mie buste e tiro fuori una scatoletta di roba da
mangiare. Lui mi tiene d’occhio, forse non ha niente, penso, così gli offro
qualcosa, giusto per il suo disturbo, ma lui rifiuta con orgoglio. Ognuno per
sé, nel nostro ambiente, è quasi una regola fondamentale.
Però dopo mi dice che è sicuro di conoscermi, mi ha
già visto probabilmente alla mensa centrale, a fare la fila con tutti gli
altri. Gli dico che può essere, ci vado spesso fino là, anche se quel posto è
sempre troppo affollato per i miei gusti. Mi infilo ancora in gola qualche
cucchiaiata di fagioli con la carne, poi tiro fuori un cartone bello nuovo di
vino rosso. Lui mi guarda, fa vedere il suo bicchiere senza neanche dire
niente, così gli verso la sua parte. Immediatamente diventa più loquace, dice
che tutto gli fa schifo, però sorride ironicamente, ed adesso sembra prendere
meglio ogni faccenda. Bofonchia
qualcosa, dice che aveva un lavoro come si deve, ma che la crisi gli ha portato
via quello e la possibilità di permettersi un affitto. Già, gli dico
tracannando il vino, però se ti dai una ripulita, tu che sei ancora giovane,
magari qualcuno lo trovi che ti offre una nuova possibilità. Ho perso la
fiducia, mi fa, ed io immediatamente provo il terrore che adesso stia per piangere,
e come a volte capita, che magari si metta a fare anche il sentimentale, così
rompo l'argomento giusto per dire: mi pare che sia già smesso di piovere, e lui
allora mi accompagna con la sua torcia fino sulla strada, per sincerarmene. Ci
salutiamo, alla fine, senza neppure tante sdolcinature, come si fa sempre in
questi casi. Buona fortuna, amico, gli sparo in fretta, ma lui mi abbraccia,
torna quando vuoi, mi dice con un gran sorriso, che tanto lo so bene quanto la
nostra solitudine possa essere ancora più insopportabile di qualsiasi altro
tormento.
Bruno Magnolfi
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