lunedì 22 febbraio 2016

Insopportabili dettagli.



Improvvisamente piove, miseria cane, per questo mi sono infilato di corsa in un vecchio portone rimasto accostato, senza neppure guardare la facciata della casa o che cosa ci fosse intorno. Invece adesso con più calma vedo che qua dentro c'è un androne praticamente abbandonato, ed accendendo uno dei miei fiammiferi fortunatamente rimasti asciutti, mi rendo conto che tutto è polveroso, pieno di ragnatele, cadente, sicuramente in disuso chissà da quanti anni. La scala principale è addirittura sbarrata con una specie di transenna legata al corrimano con un filo di ferro, immagino forse perché i solai al piano superiore sono malmessi e pericolanti, ma una stretta rampa su un lato di questo ingresso sembra scendere invece senza alcun impedimento. Così con titubanza metto il piede su quei gradini di pietra sfruttando l'ultima luce della fiammella, poi però accendo subito un altro dei miei fiammiferi.
C'è un vano piuttosto grande qua di sotto, e in mezzo allo spazio un vecchio tavolo con qualche sedia e anche un divano coperto con un telo. Una finestrella lascia entrare la luce di un lampione della strada, e a me sembra che tutto vada più che bene, anche soltanto per trascorrere in qualche modo questa serata uggiosa, cosi mi do da fare per sistemarmi nella maniera migliore, provo una sedia, appoggio su uno scaffale le mie stupide cose, cerco di raccogliere in qualche modo le mie idee per far funzionare al meglio tutto quanto. Non è per niente male questo posto, persino come abitazione, rifletto immediatamente, e comunque è sempre meglio che tornarsene alla stazione ferroviaria, oppure, come a volte succede, passare la notte coi cartoni sotto ai portici.
Mentre sto qua a godermi questa situazione bello tranquillo, sento però giungere dei rumori sospetti abbastanza ravvicinati, e dopo un attimo, accompagnato dalla luce inquietante di una torcia elettrica, arriva lui, il legittimo abitante di questa topaia. Come sei entrato?, mi fa subito sgarbatamente. Be', la porta era aperta, gli dico, ma se vuoi posso anche andarmene. Certo, fa lui, questo non è il tuo posto, vattene in giro a cercarti qualcos'altro. Va bene, gli fo, ma potremo almeno aspettare che smetta di piovere, così evito di bagnarmi più di come sono. D’accordo, fa lui, comunque mettiti da una parte e evita di rompere, che ho già i miei guai. Così mi piazzo su una sedia, frugo dentro le mie buste e tiro fuori una scatoletta di roba da mangiare. Lui mi tiene d’occhio, forse non ha niente, penso, così gli offro qualcosa, giusto per il suo disturbo, ma lui rifiuta con orgoglio. Ognuno per sé, nel nostro ambiente, è quasi una regola fondamentale.
Però dopo mi dice che è sicuro di conoscermi, mi ha già visto probabilmente alla mensa centrale, a fare la fila con tutti gli altri. Gli dico che può essere, ci vado spesso fino là, anche se quel posto è sempre troppo affollato per i miei gusti. Mi infilo ancora in gola qualche cucchiaiata di fagioli con la carne, poi tiro fuori un cartone bello nuovo di vino rosso. Lui mi guarda, fa vedere il suo bicchiere senza neanche dire niente, così gli verso la sua parte. Immediatamente diventa più loquace, dice che tutto gli fa schifo, però sorride ironicamente, ed adesso sembra prendere meglio ogni faccenda.  Bofonchia qualcosa, dice che aveva un lavoro come si deve, ma che la crisi gli ha portato via quello e la possibilità di permettersi un affitto. Già, gli dico tracannando il vino, però se ti dai una ripulita, tu che sei ancora giovane, magari qualcuno lo trovi che ti offre una nuova possibilità. Ho perso la fiducia, mi fa, ed io immediatamente provo il terrore che adesso stia per piangere, e come a volte capita, che magari si metta a fare anche il sentimentale, così rompo l'argomento giusto per dire: mi pare che sia già smesso di piovere, e lui allora mi accompagna con la sua torcia fino sulla strada, per sincerarmene. Ci salutiamo, alla fine, senza neppure tante sdolcinature, come si fa sempre in questi casi. Buona fortuna, amico, gli sparo in fretta, ma lui mi abbraccia, torna quando vuoi, mi dice con un gran sorriso, che tanto lo so bene quanto la nostra solitudine possa essere ancora più insopportabile di qualsiasi altro tormento.


Bruno Magnolfi

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