Lei pensa,
anche se forse non dovrebbe neanche farlo. Tutt’ossa com’è, ormai alla sua
bella età, si rannicchia sulla sedia e poi se ne sta da una parte, in silenzio,
senza disturbare nessuno. Gli altri si muovono, camminano, parlano, vanno e poi
tornano, e lei è sempre lì, con lo sguardo nel vuoto. Nessuno le chiede quasi
più niente, se non raramente, e lei risponde soltanto con un gesto del capo e
mezzo sorriso. Tutti immaginano che abbia tali ricordi dentro la testa capaci
di tenerla occupata per tutto quel tempo, ma non è esattamente così. Nella sala
da pranzo lei si sistema sempre allo stesso posto del medesimo tavolo, accanto
ad una finestra che guarda il giardino, e mangia quello che c’è con una calma
estenuante, tanto da farsi portare via il piatto anche se qualche volta non
avrebbe neppure finito. Qualcuno la crede scostante, però sbaglia.
I suoi
personaggi si muovono lentamente davanti ai suoi occhi, e lei studia le scene,
riflette a fondo persino i costumi, e cambia le espressioni delle facce di
tutti, quando si accorge che non sono opportune. I testi sono quasi sempre gli
stessi, ma le battute vengono pronunciate in mille maniere diverse, lasciando
scaturire da quelle poche parole che ripassa nella sua testa, significati ogni
volta differenti. In genere agli inizi sono stati soltanto dei vecchi ricordi
della sua smisurata passione teatrale, ma col tempo si sono ormai talmente modificati, a forza di essere
ripercorsi soltanto mentalmente, da avere mutato completamente di senso, ed
essere diventati qualcosa di nuovo, di diverso, di inusitato.
Qualcuno del
centro anziani che conosce almeno in parte quel suo interesse, certe volte le
chiede qualcosa, se sia già stato aperto il sipario, per dire, o se gli attori
stiano ancora provando le parti, ad esempio; ma lei in genere getta un’occhiata
da qualche parte e poi lascia in aria un sorriso, riprendendo subito con grande
pazienza la sua difficile attività tutta mentale di regista e scenografa.
Infine in un
giorno qualunque arrivano tre strampalati di un’associazione nata per
intrattenere i degenti. Hanno in mente di recitare alcune scenette, roba
leggera, senza troppo impegno, soltanto qualche testo scolastico ulteriormente
accorciato e semplificato. Lei si piazza seduta, lascia che si inizi, segue
ogni cosa con grande attenzione, ma dopo il primo quadretto un suo conoscente
girandosi verso di lei le chiede con voce alta se le sia piaciuto.
Allora, così
tremolante e smunta com’è, lei si alza, va su quel piccolo palco improvvisato,
fa spostare un attore, gli dice qualcosa con voce bassa, spiega ad un altro
come essere maggiormente espressivo, fa togliere una giacca di scena e piazza
una sedia più vicina agli astanti. Infine si siede e lascia che la recita
riprenda il suo corso. Tutto si fa più attento e preciso, i deboli attori si
impegnano al massimo, gli anziani seguono con attenzione ogni dettaglio. Quando
termina tutto, gli applausi sono spontanei, i residenti del centro hanno
apprezzato, anche se qualcuno guarda dalla sua parte con sufficienza, fino a
chiederle con un sorriso quasi di scherno chi mai si creda di essere. Non sono
niente, fa lei sottovoce in risposta; il mio nome è Lucia, e basta così.
Bruno Magnolfi
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