Attendo a lungo il
mio turno dietro alla porta richiusa, poi vengo chiamato per numero ed entro
così nel piccolo ufficio, stringo velocemente la mano all’impiegato di turno
che mi getta soltanto una rapida occhiata, e infine mi siedo davanti alla sua
scrivania, mascherando, con un contegno il più possibile dignitoso, un leggero
filo di tensione che inevitabilmente mi prende. Lui con calma ed in silenzio
osserva qualcosa sopra il suo schermo, digita forse dei codici a lui noti, e
magari attende che gli appaiano dei dati che molto probabilmente riguardano me.
Tanto per rompere il
silenzio gli chiedo con voce bassa se il colloquio per il quale sono stato
convocato durerà a lungo. Lui mi guarda un momento, fa subito partire qualcosa
sulla stampante alla sua destra, poi dice: quale colloquio; a me è già
sufficiente che mi riempia in questo momento e da solo il questionario che
adesso ho da darle. D’accordo, dico subito, con un leggero imbarazzo per non
aver compreso la situazione, ed immediatamente prendo quei fogli che lui mi
allunga sul piano chiaro della sua scrivania. A seguito mi porge anche una
matita poco appuntata, e poi dice senza guardarmi che posso sistemarmi sul
tavolinetto di fianco.
Mi alzo, torno a
sedermi sull’altra sedia, poi osservo quelle carte che ho in mano, e mi rendo
subito conto che risultano fitte di una scrittura a caratteri piccoli e
composte da parecchie domande, tanto che ho un moto quasi spontaneo di
repulsione dal quale naturalmente cerco di prendere immediate distanze. Vorrei
anche chiedergli qualcosa ancora prima di iniziare, tanto per capire se devo
davvero rispondere a tutto quanto quel questionario, oppure se posso saltarne
almeno una parte; ma considerato che questo impiegato si è subito rimesso a
digitare qualcosa sulla sua tastiera, disinteressandosi completamente di me,
preferisco non interromperlo, tanto per non mettermi ulteriormente in una luce
poco favorevole.
Passano i minuti, mi
sento perfino la fronte sudata, le domande mi paiono complesse e tutte un po’
ambigue, così rispondo ai diversi quesiti in maniera direi approssimativa,
addirittura tralasciandone alcuni sui quali mi sento assolutamente impreparato.
Ne soffro, penso che forse potrei spontaneamente mettermi a piangere per
questo, ed improvvisare una crisi di nervi che forse, giocando bene la parte
dell’emotivamente instabile, mi rilasci maggiori possibilità, ma in fondo mi
pare una trovata di pessimo gusto, e così la scarto a priori. Facilmente verrò
giudicato un idiota, rifletto, uno che non riesce nemmeno a distinguere gli elementi
basilari della propria esistenza, ma dopo un lasso di tempo per me
interminabile, decido che adesso non ha più alcuna importanza, visto che queste
risposte saranno soltanto un ulteriore pezzetto da inserire tra i dati che sono
già dentro ad una minuta porzione di memoria elettronica a me dedicata.
Ho fatto, dico infine
all’impiegato che immagino adesso sia stato completamente assorbito da un
videogioco. Lui sembra sorpreso, mi guarda un attimo, prende i fogli che adesso
gli porgo, li guarda ed a seguito sa solo dire: manca la data e anche i suoi
dati personali al fondo dell’ultimo foglio; lo completi, altrimenti non potrò
prenderlo in carico. Scrivo velocemente le cose richieste che immaginavo
fossero già inserite da qualche parte, poi scusandomi ancora gli dico senza
tornare a sedermi che adesso dovrei proprio andare. Va bene, fa lui, ma non gli
interessa avere un risultato da quanto ha prodotto? Non lo so, dico io, adesso
vorrei solo andarmene, e se devo essere proprio sincero, non capisco neppure
come sia finito qua dentro nè per quale motivo. D’accordo, mi dice, però quando
esce da qui richiuda bene la porta dietro di sé: ci sono persone che trovando
un uscio socchiuso sarebbero capaci di qualsiasi espediente per
approfittarsene.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento