Silenzio. Pur stando in ascolto con il massimo dell’attenzione,
pronto ad interpretare immediatamente come un pericolo qualsiasi pur minimo
rumore possa giungere alle mie orecchie da fuori, non sento nulla, se non il
mio vecchio cuore che batte, ed il leggero fruscio nella testa dato dal sangue
che scorre regolare all’interno delle mie vene. C’è un dentro ed un fuori, in
tutte le cose, ed io me ne sto qui a passare la notte avvoltolato in questo
cartone, senza che almeno per adesso mi giunga alcun rumore da qualche parte
qua attorno. Lontano, perso chissà in quale contrada che non conosco neppure,
solitario e forse un po’ triste, ma in questo caso quasi rassicurante come il
respiro naturale della città, il fischio appena avvertibile di un treno in
arrivo o in partenza, nell’aria di questa notte qualsiasi, che non mostra al
momento alcuna differenza con tutte le altre notti. Sollevo leggermente le
palpebre, giro gli occhi da una parte e dall’altra, guardo qualcosa senza grande
interesse, in questo buio leggermente tagliato da un lampione potente,
posizionato su in alto nella piazza vicina, e subito dopo mi volto su un
fianco, come uno di quelli che ancora cercano di dare in qualche modo una difesa
per il proprio corpo, e stanno sempre come in attesa della botta che arriverà
prima o dopo, a svegliare in un lampo di dolore questo sonno strappato alla
strada.
Lieve rumore. Forse soltanto qualcuno che passa poco
lontano, oppure un semplice pezzo di carta mosso dal vento, una lattina vuota
che rotola sul marciapiede, chissà, magari i ragazzi dell’associazione che ti
portano il tè caldo, una coperta, una pacca sopra la spalla. Niente, resto
fermo, tanto che potrei forse essere morto, e penso: chissà se qualcuno da
dietro mi guarda in questo stesso momento, magari ha pena di me, oppure ritiene
questo fagotto una spazzatura da prendere e togliere subito, come qualcosa che dà
solo disturbo, perché produce un’immagine del tutto sgradevole della città.
Adesso, poco distante, stanno lavando la strada: passa una macchina che spruzza
dell’acqua sotto a una spazzola, e intanto aspira ogni residuo di vita, ad
annullarne le tracce.
Colpo sul muro. Poco lontano qualcosa sta succedendo: mi
giro, osservo due o tre ragazzi mezzi ubriachi che si divertono a svegliare un
vecchio come me apparentemente senza difese, ma io tiro su la mia testa, mostro
subito l’espressione di uno che non sarà tanto facile da abbattere, e che forse
ha persino un coltello nascosto da qualche parte, e magari è anche pronto ad
usarlo, perché non ha molto da perdere, e forse sa persino difendersi. Gridano
qualcosa, a distanza, ridendo in modo sgraziato, e poi se ne vanno, spingendo
le loro facce dietro qualcosa che possa apparire più facile, più divertente,
un’impresa che dia loro maggiori soddisfazioni con un impegno minore. Mi giro,
tutto adesso pare più quieto: la spazzatrice stradale ha voltato verso qualche
altra parte, persone a piedi non se ne vede, sento soltanto una moto ruggire
lungo la via principale, e dopo più nulla.
Silenzio. È bello immaginare il quartiere immerso nel
sonno, in quella fase del giorno in cui tutti appaiono uguali, e i sogni di
ognuno possono essere anche i più differenti, indipendentemente da chi sta
sognando. Devo cambiare abitudini, penso; trovare un giaciglio un po' più
sicuro, dove non ci sia da stare sempre in allerta, ed il mio fagotto di
stracci non dia tanto nell'occhio.
Rumore secco vicino. Mi volto, sono i ragazzi di prima,
sono tornati con intenzioni peggiori, ridono, uno di loro sbatte una spranga di
legno su un palo, per farmi capire cosa mi attende. Non cerco neppure di tirare
fuori il coltello, sarebbe peggio per me, mi limito a guardarli e ad attendere.
Loro si fanno vicini, sono sempre più minacciosi, stavolta non riuscirò certo a
cavarmela penso, spero solo che facciano un lavoro completo, che non mi esponga
a sofferenze ulteriori.
Poi, un rumore più forte. Gira dall'angolo la spazzatrice
stradale, illumina tutti coi suoi fari potenti, scendono in due vestiti di
arancio, i ragazzi vanno subito via, e dopo poco anche io me ne vado con le mie
povere cose: questo non è un posto adeguato a dormire penso; ci sono troppi
rumori.
Bruno Magnolfi
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