Sta zitta lei in
certe occasioni; abbassa lo sguardo e si limita ad osservare una cosa qualsiasi
che le rimane vicino, come le zampe di una sedia, per esempio, oppure anche la
punta delle sue calzature. Se le si chiede qualcosa in questi momenti lei alza
le spalle come per spiegare che non sa di cosa si parli, o che non sa
rispondere, oppure che proprio non le va di parlare. Non c’è molto da
recriminare in quei casi per chiunque cerca di comprendere in qualche modo quel
suo disagio così delicatamente evidenziato, anche se certi atteggiamenti che
assume in altre situazioni sembrano quasi di una persona del tutto diversa.
Difatti quando poi decide di parlare lo fa quasi
sempre usando dei termini strani e delle frasi sconclusionate che sembra non
portino mai da alcuna parte, anche se definiscono piuttosto bene la sua
fantasia visionaria. Descrive in fretta qualcosa di incomprensibile, sprazzi di
realtà che sembra non abbiano mai alcun senso. E poi parla di un uomo, di un’immagine
centrale che forse possiede stampigliata nella mente, e che sembra soltanto lei
riesca a vedere, pur mostrando che in mezzo alle sue parole non abbia proprio niente
di divino come forse si potrebbe immaginare, visto che le sue spiegazioni definiscono
soltanto un uomo qualsiasi, probabilmente qualcuno che lei stessa ha conosciuto
una volta indietro negli anni, chissà quando, e che adesso comunque finge di
ricordare piuttosto bene, tanto da elevarlo a personaggio meraviglioso.
Fanni, le chiedono a volte nell’istituto; chissà
quanto tempo è passato dall’ultima volta che hai visto il tuo amico. Lei rimane
immobile per qualche attimo, probabilmente colpita dal riferimento diretto, poi
dice a modo suo che non è poi trascorso molto tempo. Era qui, forse ieri, non
so. Mi ha toccato la mano, c’era la luce, c’era il sole, io sorridevo. Insieme,
mi ha detto, nient’altro. Non so, qualcosa del genere, da qualche parte, con
lui; volevo andarmene, lui si è voltato, si, io ho preso le mie cose, poi ho
rinunciato. Si rideva, lui scherzava: però insieme, mi ha detto. Va bene, sono
pronta, gli ho fatto. Si è girato, e anche io, ma forse era tardi, poi
basta.
Inutile insistere, il bisogno di andarsene è una
costante naturale non soltanto per lei tra quelle mura, ed immaginare da parte
di molti là dentro un personaggio che aiuti ad andarsene via è altrettanto
normale; ma questa donna aggiunge spesso qualcosa di suo, si spinge più avanti:
si era lontani da qui dice, giusto ieri; il sole scaldava, lui diceva cosa
guardare. Stavo bene, si era contenti. C’era il sole nelle stanze, lo seguivo,
non importava più niente.
Torna a casa sua qualche volta, ad intervalli
regolari, per stare insieme con la sua famiglia, accanto a chi continua a volerle
del bene. Buffo vederla andare via, con la sua espressione assente, le braccia
a riposo lungo i fianchi e le sue immagini di sempre probabilmente dentro ai
suoi occhi. Potrebbe cancellare tutto, solo volesse, tornare svagata, priva dei
sogni e di quell’immagine d’uomo che a volte sembra addirittura riesca a
perseguitarla. Ma lei guarda in basso, la punta dei suoi piedi, sta zitta a
lungo, per un tempo vuoto ed indefinito, poi mormora qualcosa, come tra sé: il
sole, con me e con lui, illumina le stanze. Non tornerò; starò per le strade, insieme,
piene di luce.
Bruno Magnolfi
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