Devo muovermi, sono già
in ritardo. Non capisco neppure come possa essere capitato, forse mi sono
trastullato un po’ troppo nella convinzione di avere davanti tutto il tempo di
cui avevo voglia, ed invece le lancette dell’orologio sono andate avanti velocemente
quasi per conto
loro, in un modo del tutto inesorabile, tanto che
adesso mi trovo nella situazione imbarazzante di chi non ha più alcuna
possibilità neanche di riflettere meglio su quello che mi attende.
Prendo la giacca ed esco
di corsa, pur sapendo perfettamente che il mio presunto successo in ciò che
ogni giorno mi trovo a dover affrontare è semplicemente determinato dal
dettaglio, dalle piccole cose, da quei particolari minimi e sottili per i quali
soltanto dedicando loro la giusta attenzione si può ottenere i risultati in
qualche modo sperati, lasciando alle spalle la superficialità risultante quasi
sempre dalla fretta eccessiva. Forse ho i capelli poco pettinati, la mia camicia non è del colore
che avrei voluto indossare, le mie scarpe non sono neppure perfettamente
pulite. Però mi rassegno: certe volte le cose non possono essere altro che
così.
Sul portone trafelato incontro la
mia vicina di pianerottolo mentre sta rientrando, una persona comprensiva e sempre
cortese con me, capace di prendermi la posta quando non ci sono, o anche di
passarmi qualcosa da mangiare in certe serate in cui il mio frigorifero e la
mia dispensa dimostrano di essere vuoti. Mi saluta vistosamente e con una certa
determinazione, perciò mi fermo, le dico subito che ho fretta, ma lei inizia
col raccontarmi qualcosa di importante dell’amministratore di condominio e
delle sue strane trovate, così capisco subito che devo per forza interromperla,
anche se in maniera garbata, se voglio occuparmi ancora della mie cose. Le dico
che passerò più tardi da lei, ed a quel punto mi potrà raccontare tutto con
calma, poi volo alla fermata del bus, che naturalmente transita proprio in quel
momento senza di me.
Decido di andare a piedi, perciò
attraverso subito la strada in un punto peraltro dove non è permesso, tanto che
le auto di passaggio mi strombazzano come per farmela pagare. Sono già in un
bagno di sudore per l’agitazione, e mi sento inadeguato sempre di più ad
affrontare quanto il mio dovere richiede. Sono sicuro che qualcuno dirà
immediatamente che sono in ritardo come è mio solito essere, e le mie scuse non
verranno neppure prese in considerazione. Arranco, alla fine arrivo in una
piazza e vedo un bus, così ci salgo insieme ad altre mille persone che mi
stringono in una morsa incredibile. Non riesco neppure a vedere verso dove si
vada, ma alla fine mi rendo conto che la direzione del mezzo pubblico non è
quella giusta per me. Impiego due fermate prima di riuscire a scendere da lì, e
mi sento sempre più disperato.
Alla fine decido di entrare in un
bar per cercare di calmarmi, così mi siedo ad un tavolo libero e mi faccio
servire dell’acqua e anche un caffè. Non sto bene, questo è il punto
essenziale: non posso andare da alcuna parte, non posso presentarmi a nessuno,
devo lasciare che le cose restino così come sono se non voglio riuscire a
peggiorarle. Alla fine telefono: non importa, mi dicono all’apparecchio; non
c’è affatto bisogno che lei si presenti; così, mi spiegano, può restare
tranquillo e beato nella sua casa. Va bene, rispondo, ringrazio il vostro
pensiero, magari prenderò nei prossimi giorni un nuovo appuntamento.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento