Lo so, mio figlio era
ancora troppo piccolo per comprendere da solo quello che realmente stava
accadendo. E nonostante ogni sforzo che ho cercato di imporre anche a me stessa
per portarlo minimamente a riflettere sulla necessità di adottare certi
comportamenti in questo difficile periodo, lui alla fine ha deciso ogni volta
di fare a malapena quello che gli chiedevo, come per un semplice favore alla
sua mamma, e nient’altro. Ho cercato più volte anche di mettermi nei suoi
panni, e quindi di tornare ogni volta a spiegargli il motivo per cui non era
possibile andare ai giardini insieme agli altri bambini del quartiere che lui conosce,
oppure a trovare suo cugino più grande di due anni come qualche mese addietro
facevamo. Ma lui ha proseguito a lamentarsi costantemente di qualsiasi cosa e
dopo basta, tenendomi regolarmente il broncio.
“Sei cattiva”, mi ha
anche detto qualche volta, come per far ricadere la colpa di tutto su di me, ed
io mi sono limitata a sorridergli, tornando a spiegargli con pazienza come
stavano davvero tutte le cose. Non è facile tirare su da soli un figlio come il
mio, ed in più questo periodo così difficile non ci voleva proprio, né a me, e
tantomeno a lui. Mi sono vista disperata in certe giornate, così ho alzato la
voce, gli urlato contro, l’ho persino minacciato, lasciando da parte, almeno momentaneamente,
ogni volontà di comprensione. Mi è venuto persino da piangere in qualche
occasione, per la rabbia repressa, per la situazione, per la sfortuna tremenda
di ritrovarmi in una condizione come questa. Adesso non so più cosa pensare: si
può tornare fuori poco per volta, andare in giro, riassaporare un briciolo di
normalità; ma il guaio è fatto: mio figlio mi guarda senza sorridermi, sembra
non fidarsi più di quello che gli dico, e spesso decide di starsene in silenzio
piuttosto che sentire ancora la mia voce che cerca soltanto di spiegargli le
cose di sempre.
A me pare sia
cresciuto estremamente in fretta durante questa semplice manciata di settimane,
ed i suoi sentimenti verso di me sembrano aver virato verso il sospetto,
l’incredulità, persino il dubbio, quando cerco solo di parlargli come sempre ho
fatto. Lo so che non mi accetta, ed a me di controparte lui riesce sempre meno
sopportabile, anche se non dovrei neppure pensare una cosa di questo genere.
Certe volte in questi ultimi giorni vorrei quasi soffocarlo mentre dorme, e poi
immediatamente andare a gettare il suo corpo da qualche parte, dentro un fosso
d’acqua magari, che se lo porti via con la corrente. Non sono vere parole da
mamma queste, lo so benissimo, però ci vuole comprensione anche nei miei
confronti, perché io mi sento esasperata, non sopporto ancora questo andamento
delle cose, ed avverto sempre più forte la necessità di riappropriarmi della
mia esistenza. Ormai non telefono a nessuno, mi rinchiudo nei miei pensieri e
mi limito ad incrociare uno sguardo carico di odio con mio figlio, regolarmente
ricambiato con il suo modo di osservarmi.
Non può durare a
lungo questa situazione, me ne rendo conto benissimo, ed aspetto da un momento
all’altro che accada qualcosa di irreparabile. Devo difendermi, questo è il
punto, perché so con certezza come lui adesso abbia maturato la forza
necessaria per prendere un coltello da cucina e di recidermi la gola. Non gli
posso permettere una cosa di quel genere, dopo tutto ciò che ho fatto nei
momenti più difficili di questo periodo di chiusura claustrofobica. Devo stare
attenta, studiare le sue mosse, attendere con calma che si scopra, che mostri
le sue vere intenzioni, e poi sorprenderlo con uno studiato contropiede,
neutralizzandolo in un attimo, e mostrandogli così in questa maniera che anche
per conto mio si è superata ormai la soglia di qualsiasi sopportazione.
Bruno Magnolfi
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