Il male è dentro di lui. Certe volte
si rigira dentro al suo letto svegliandosi nel sonno d’improvviso, ed
immaginando come una specie di occhio elettronico capace di vedere dappertutto,
si ritrova ad indagare a fondo tra i suoi organi, le sue viscere, la sua anima
stessa. Poi si riaddormenta. Lo sa, ne è pienamente cosciente, che tutto dovrà
precipitare un giorno tra questi, eppure continua a cercare un segno che mostri
il principio, l’accenno, l’inizio, dell’inevitabile conseguente. “Non mi
interessa”, dice a se stesso quando si guarda dentro lo specchio, e comprende
che i suoi lineamenti, la sua espressione, i dettagli della sua faccia, non
hanno alcun valore in confronto a tutto il resto e soprattutto al suo pensiero,
in grado questo di articolare a comando qualsiasi forma, mossa, atteggiamento,
anche in uno scenario già complesso. Le persone pagano per vederlo sofferente
sopra al palco, e lui articola le proprie parole in una composizione ogni volta
sempre nuova, all’interno di un canovaccio pretestuoso in cui spesso si
divincola.
Conosce perfettamente i meccanismi
di immedesimazione che si compiono di fronte a lui, e lui sa suscitarne sempre
di nuovi quando è il momento adatto, fino a piegare i suoi argomenti verso
quella sgradevolezza che d’improvviso pare quasi annullare tutto il resto.
Eppure tutto è sorretto da un filo sottile, ed ogni cosa dovrà pur abbandonarlo
un giorno o l’altro, perché sa benissimo il tormento a cui sarà chiamato a
tener testa. E’ vero, tutti hanno un male oscuro che li agita, ma lui riesce
semplicemente, con pochi gesti e certe rare espressioni, a ricordarlo proprio a
tutti quanti. Dovrà smettere, questo è il punto, perché adesso è arrivato
proprio là dove desiderava, e non può proseguire a moltiplicare se stesso di
fronte al pubblico. Odia replicare, ed anche il trasformismo, se anche fosse da
prendere in considerazione, non fa parte della sua personalità.
Non prevede altre soluzioni, se non
uscire di scena in un momento qualsiasi, per non rientrarvi più. Niente di più
facile, senza alcuna spiegazione, come la cosa più normale tra tutte quelle che
si potrebbero sperimentare. Torna a guardarsi nello specchio: non ci trova
niente di diverso oggi, è ancora il pensiero che contraddistingue la sua
immagine, non i modi, non le dichiarazioni a favore di obiettivo, non le
risposte argute impostate in precedenza. Non è facile, potrebbe ancora dire a
chi lo domandasse, stare qui come un giullare ad intrattenere gli ospiti. Ma
non pensa questo: sa con certezza che c’è qualcosa dentro, sotto la pelle, direttamente
nell’organismo animale di ognuno, che prende delle decisioni assolutamente insormontabili,
a cui non ci possiamo in nessun modo opporre, e soltanto quella compiutezza trova
un senso, per noi chiamati solo a sostenerla. Oggi va così, potrebbe dire, e
ciò che si è fatto vivo poco per volta in mezzo ai suoi pensieri, adesso se ne
va, come la conclusione naturale di un disegno già previsto.
Poi prende la giacca, esce, fa un
giro per le strade inforcando i suoi invalicabili occhiali dalle lenti scure
sotto ad un berretto calzato ad arte, prendendo aria, dimenticando ogni suo
ruolo, forse incrociando persone che potrebbero facilmente riconoscerlo, ma che
in nessun caso neppure mostrandone tutto il desiderio riuscirebbero in qualche
modo ad aiutarlo. Ma lui si perde tra la gente, forse smarrisce persino quel
suo male per un attimo, mentre continua a camminare sopra ai marciapiedi, e intanto
indaga tra i gesti stanchi di chi incontra, immaginando già se stesso, in un
giorno esattamente uguale a questo, privato della sua funzione e persino della
sua personalità.
Bruno Magnolfi
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