Esco da casa, prima dell’ora di cena. Forse passerò a
prendere una porzione di qualcosa nella rosticceria poco lontano, penso, anche
se non è questo il motivo per cui ho preso la giacca e sono sceso con calma
lungo le scale del mio condominio. Anche oggi la giornata per me è scorsa via
come sempre, nonostante una sensazione negativa abbia iniziato da subito ad
instillare nella mia mente un malessere di cui credo di non avere mai davvero
sofferto in precedenza. Già coricandomi ieri sera, avevo avvertito un’angoscia
leggera e sottile inserirsi tra le pieghe dei miei soliti pensieri prima di
addormentarmi, ma l’avevo presto scacciata richiamando alla mente, proprio per
metterle in ordine, le cose da fare nei prossimi giorni. Avevo spento la luce e
chiuso gli occhi quasi con soddisfazione, sicuro di ricordare perfettamente al
risveglio quella manciata di impegni. Ma il mio sonno era stato disturbato da
qualcosa di oscuro, di incomprensibile, e quei sogni veloci che si erano
affacciati dentro di me erano spariti al mattino senza lasciare alcun
seguito.
Stamani avevo solo un ricordo vago delle
faccende a cui mi ero ripromesso di dar corso, e sono andato al lavoro presso
l'agenzia immobiliare con la forte sensazione
di essermi dimenticato già parecchie cose. In agenda per la giornata di
oggi avevo soltanto un paio di appuntamenti facili, e poi un certo numero di
telefonate per verificare una serie di contatti. La mia collega mi ha salutato
come sempre quando sono arrivato, conservando con serietà quella solita
espressione di sfiducia nei miei confronti, ed io non le ho offerto neppure il
solito caffè di mezza mattina nel localetto di fianco, considerato che provavo
una pesantezza allo stomaco tale da non desiderare alcunché, neppure la sua
presenza. Sono rimasto così un bel po’ in agenzia, poi ho preso la borsa e sono
andato ai miei appuntamenti, senza riuscire di fatto a combinare niente di
buono. Quando sono rientrato, dopo un pranzo costituito semplicemente da un
panino col tonno, sembrava che tutto nell’ufficio fosse rimasto esattamente
com'era in precedenza: la mia collega dietro alla sua scrivania, la vetrina con
gli annunci di vendita assolutamente identica, la mia postazione di lavoro
immobile e uguale a qualsiasi altro momento. Ho avuto una voglia repentina di
novità, ma non ho detto niente, limitando i miei gesti allo scorrere
rapidamente con gli occhi sopra le note telefoniche, e sedendomi dietro al
piccolo terminale rimasto acceso. Mi aveva cercato un cliente mentre ero fuori,
così ho richiamato subito il numero, ma giusto per ascoltare da una voce
gentile e quasi ironica che ricordavo, la notizia per cui l’appartamento in
vendita erano riusciti a piazzarlo senza di noi, tramite le loro conoscenze, e
che quindi non c’era più bisogno dei nostri servizi d’agenzia. Ho ringraziato
comunque, depennando immediatamente quel nominativo.
Quando
mi sono separato consensualmente da mia moglie, dopo un lungo periodo di
bisticci e incomprensioni che adesso non ricordo neanche più, ho pensato
subito, versando sul suo conto la metà del valore del nostro piccolo
appartamento, che da quel momento sarei stato padrone di impiegare il mio tempo
libero come meglio desideravo, considerato che lei per scelta se ne andava ad
abitare nella casa della mamma. Invece, dopo i primi giorni di euforia per
quella apparente libertà riconquistata, ho dovuto prendere atto che le mie
giornate in questo modo riuscivano soltanto ad assumere sempre più un senso di
vuoto e di inutilità. La stessa che provo questa sera, mentre cerco, non so
neanche perchè, di trattenermi sul marciapiede accanto alla rosticceria dove mi
sono fatto incartare un quarto di pollo arrosto e delle patate. Ho preso un
aperitivo, poco fa, fermandomi al circolino delle carte, dove alcuni anziani si
attardavano per un’altra briscola, ma non mi è interessato neppure, oltre a due
parole scambiate col barista che conosco da sempre, gettare un'occhiata al
tavolo da gioco.
Alla fine ho deciso che dovevo
rincasare, e col mio sacchetto di cibo sono rientrato nel mio appartamento,
incerto se mettermi subito a mangiare oppure perdere del tempo con qualche
altra sciocchezza. Infine mi sono seduto al tavolino di cucina. Non ho steso
neppure la tovaglia, non ha molta importanza credo, anche se di questo passo
sono convinto che raggiungerò presto la fase dell’abbrutimento, dimenticando
orari, impegni, e forse anche il rispetto di me stesso. Non fa niente penso; in
fondo era già deciso che le cose dovessero prendere prima o dopo questa piega,
non sarò certo il primo a ritrovarmi a dormire vestito sul divano davanti alla
televisione, oppure a sbarbarmi sempre più di rado. Era previsto, non c’è altro
da dire.
Bruno Magnolfi
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