La sera tendo ad andare
a letto quasi sempre alla medesima ora. E certe volte, appena un attimo prima
di addormentarmi, penso che forse non mi sveglierò mai più. In fondo, rifletto,
non sarebbe proprio una gran perdita: nessuno rimane troppo meravigliato di non
vedere più in giro una persona non troppo sociale che fino adesso peraltro ha
vissuto da sola. Magari, una volta avvertita quella che un tempo è stata mia
moglie, lei ricorderebbe per l'occasione i bei momenti che abbiamo vissuto
insieme tanti anni fa. Ed il vicinato, cioè gli abitanti del mio condominio,
probabilmente in quel giorno si scambierebbero l'informazione funerea a voce
bassa, come per una forma di dovuto rispetto. Poi basta. Ma io ritengo di
essere una roccia, e alla fine non ho voglia di lasciar pensare di me che non
abbia più alcuna voglia di campare. Al contrario penso di avere molte cose di
cui occuparmi nel tempo a venire, anche se ancora devo decidere con precisione
quali possono essere. Quando poi mi addormento sono sicuro, con l'ultimo
barbaglio di razionalità, di riuscire, anche in questa fase, a mettere in fila
gli appuntamenti che sono stati fissati il giorno seguente per le vendite
immobiliari dell'agenzia per cui lavoro, tanto che al mattino mi sveglio con le
idee già ben chiare su tutto quanto di cui dovrò occuparmi durante la giornata.
Ma quando poi arrivo
realmente in ufficio, scopro sempre che la mia collega, un tipo direi
insopportabile, sempre nervosa, concentrata soltanto su se stessa, ancora prima
di dirmi buongiorno, mi comunica rapidamente che ha spostato alcuni elementi
della mia agenda, e così scopro che devo aggiornarmi a quanto ha deciso lei per
il prosieguo del mio lavoro. Non posso dire niente, lei è il mio capo, anche se
siamo soltanto in due, e poi non importa, penso, ho la capacità di sopportare
qualsiasi variazione possa essere stata apportata, visto che se non riuscirò a
mettere in pista neppure un preliminare contrattuale, forse in questo modo non
sarà stata neppure tutta mia la colpa. Faccio qualche telefonata di conferma
tanto per entrare nello spirito della giornata lavorativa, prendo qualche
appunto finale sui miei taccuini, poi prendo la cartella gonfia di
documenti ed esco per recarmi immediatamente al primo appuntamento. Da qualche
tempo ho iniziato mentalmente a catalogare i clienti che desiderano acquistare
una casa, e così la maggior parte delle volte non mi trovo davanti a delle
sorprese sgradite. So già quali siano i tizi rognosi che vogliono conoscere
ogni dettaglio dell'appartamento che visitano, oppure altri che desiderano
soltanto spiegare il loro punto di vista, inanellando decine di storie per me
di nessun interesse.
Quando torno in ufficio
generalmente ho due tipi di maschere da indossare: sono soddisfatto di quanto
sono riuscito a combinare, e quindi la mia espressione appare sorridente, oppure non
lo sono per nulla, e la mia faccia tradisce i miei sentimenti negativi; in
questo modo la mia collega, imperterrita dietro all'elaboratore e al telefono,
può così evitare di porre la sua solita
sciocca domanda su come siano andate le cose, anche se in genere è ovviamente
la seconda situazione quella maggiormente preponderante. Specialmente in questo caso perciò, con tutta evidenza, non vedo l’ora di
salutarla e di tornare velocemente verso
casa mia, magari
ripensando durante la strada agli incontri fatti con i clienti e a quanto posso
avere sbagliato nella presentazione degli alloggi messi in vendita. E’ un mestiere difficile quello del venditore,
e non c’è mai una vera e unica soluzione per ottenere quanto si desidera. E
spesso è sufficiente una semplice sfumatura nella voce per non riuscire affatto
a convincere il cliente.
Mi sento libero una volta terminato
il mio orario di lavoro, ma non avendo nessuno che mi attende né a casa né da
altre parti, molte volte avverto un vuoto che qualche volta farei di tutto pur
di riempire. Per questo mi concedo sempre un passaggio in un localetto vicino
casa dove il mio amico Lorenzo mi porta al tavolino una birra, un caffè, oppure
un aperitivo, a seconda dei periodi. Ritrovare lui dietro al banco mi fa
sentire bene, quasi a casa, come se avessi riabbracciato un vero amico, anche
se dopo i saluti di rito e due parole di consuetudine, non saprei proprio che
dirgli. Però mi basta, è la sua faccia che mi fa ritrovare un po’ di
tranquillità; ed allora, va bene così.
Bruno Magnolfi
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