Vado sempre avanti, imperterrito,
anche nel momento esatto in cui, questa giornata qualsiasi che pare snodarsi
veloce e ordinaria di fronte a me, prosegue soltanto ad inseguirne una
ulteriore, del tutto identica, durante la quale insisto a girare con la bicicletta
a destra e a sinistra lungo tutte le strade principali del mio paese,
conoscendo oramai a menadito ogni indirizzo di casa presso cui devo fermarmi,
sollevare poi con un dito il coperchio della cassetta postale, e quindi scaricarvi
dentro la busta affrancata, sfilandola con gesto usuale tra le altre dalla mia
borsa capiente, nella anticipata certezza, almeno in qualche occasione, che la
ricezione di questa sarà magari apprezzata, oppure per niente. Quasi un
semplice automatismo, uguale forse ai saluti che scambio con coloro che
incontro, nel compimento di un percorso che si assomiglia ogni volta, con poche
eventuali modifiche tutte normalmente previste. È il mio mestiere, niente di
diverso, al punto che conosco già alla perfezione dove fermarmi, con quale
piede sorreggermi in equilibrio davanti ad una certa abitazione, o dove sostare
un momento, per suonare un campanello per una raccomandata con ricevuta.
<<Grazie Gino>>, mi dicono tutti, anche se in certi casi appare
sufficiente un cenno di saluto, oppure un buongiorno scolpito nell’aria, senza
bisogno di insistere troppo, per non rallentare la mia pedalata.
Mi ha invece fermato, davanti
all'ufficio postale, proprio mentre stavo tornando dalla solita gita, quel
sindacalista marito di Renza, giusto per salutarmi con cortesia e poi
chiedermi, assumendo un'espressione più seria, quali potessero essere i punti
dolenti del mio lavoro. <<Non saprei>>, ho risposto io dopo averci
riflettuto un momento mentre riordinavo le mie cose, e lui subito ad insistere
che forse poteva essere l’insopportabile caldo estivo, oppure le intemperie d’autunno
a mettermi in situazioni difficili, e poi il super lavoro da affrontare in determinati
periodi, o il pericolo di dover muovermi sempre per strada, costretto a mettermi
al riparo dagli automobilisti distratti e anche dagli altri veicoli. <<Ma
è il mio mestiere>>, gli ho detto; <<niente di particolarmente
diverso da ciò che ognuno si possa immaginare, e che non si può certo pensare adesso
di modificare>>. Il sindacalista è sembrato riflettere, ha detto che
magari deve studiare più attentamente il mio caso, comprendere meglio quali
siano, e se mai ci fossero, dei momenti davvero critici nello svolgimento del
mio servizio. Poi, io ho riposto come sempre la mia bicicletta sul retro dell’edificio,
e dentro la borsa ho notato che erano rimaste solo quattro affrancate da
consegnare nelle frazioni fuori dal centro abitato, così sono salito
sull'utilitaria che resta sempre a disposizione del portalettere, ed infine ho
proseguito il mio giro, pregustando il momento in cui mi sarei fermato con
qualche conoscente nel solito caffè, a prendere qualcosa e a riposarmi un
pochino, visto che ancora era piuttosto presto.
Ho pensato che tutto sommato da quasi trent'anni porto avanti questo
lavoro, e non mi ero mai ritrovato a pensare che fosse un mestiere giudicato da
qualcuno un po' disagiato e forse persino pericoloso, come mi ha detto proprio quel
sindacalista, tanto più che in tutte le mie attività di consegna postale gli
aggeggi elettronici moderni non mi hanno mai potuto aiutare. Comunque, fino ad
oggi, io mi sono accontentato sempre di quello che la vita mi ha offerto, anche
perché personalmente non ho mai avuto molto altro da dare agli altri; ma adesso
che una brava persona come il marito della Renza mi ha detto quelle cose, mi
pare che i miei servizi, forniti a tutti i cittadini di Calci, e forse considerati
anche troppo usuali e scontati, per la gente di tutto il paese che conosco e
che incontro per strada, sia quasi immeritata, e che perfino molti di loro
approfittino troppo di me, chiedendomi favori e servizi che non sono neppure
previsti tra le mie attività. Se ci penso con una certa fermezza, mi pare che
dovrei essere maggiormente fedele a ciò che è stato stimato per le mie mansioni,
e riferirmi rigorosamente a quelle, anche per far apprezzare di più ogni gesto in
cui spesso sono impegnato.
Quando infine rientro in ufficio, la
nostra direttrice sembra guardarmi quasi con una certa meraviglia, consultando
subito il suo orologio, quasi io mi fossi approfittato furbescamente di
qualcosa per svolgere più velocemente il mio compito, laddove certamente ci
sono dei giorni in cui tutto scorre rapidamente, ma ce ne sono anche altri in
cui mi trovo purtroppo a fare più tardi del solito, com’è del tutto naturale.
Non mi piace per niente comunque questo clima, ed anche se, dopo gli ammanchi
allo sportello del pubblico, noi delle poste siamo stati guardati male da molti
paesani, ugualmente non credo proprio che ci possa essere qualcosa da ridire
sul conto di uno oppure dell’altro, escluso evidentemente il collega disonesto che
è stato subito allontanato. Siamo una squadra, ognuno svolge il suo compito; non
ci trovo nient’altro da dire.
Bruno Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento