Non mi sono
mai preoccupata di quello che potrebbero pensare i miei colleghi dell’ufficio
postale, nel momento in cui mi soffermo a parlare con i clienti che vengono
allo sportello per compiere qualche banale operazione. Mi conoscono quasi
tutti, oppure conoscono la mia famiglia, così mi salutano con cortesia, ed io
chiedo loro come vadano le cose, della salute dei loro parenti, magari del
motivo per cui da tanto tempo questo o quell’altro non si fa più vedere nella
nostra agenzia. In molti, mentre stanno davanti allo sportello, proseguono a
parlarmi di sé, dei loro problemi, dei piccoli guai ordinari che si trovano ad
affrontare, e a me pare sempre qualcosa di importante quello che dicono. Mi
sembra comunque una maniera cortese e doverosa di comportarsi la mia, e questo
tentativo di fare almeno un po’ di conversazione, in generale porta tutti a
farmi un sorriso, e a salutarmi con gioia, parlandomi volentieri delle loro
cose, tanto che alla fine vanno via ben soddisfatti del servizio ricevuto,
anche se è stato soltanto l’aver spedito una semplice raccomandata. La
direttrice mi ha detto una volta che per lei va benissimo che io mi comporti
così quando sto allo sportello, però senza mai esagerare, e poi le basta che
non mi dilunghi troppo a chiacchierare quando c’è qualche cliente che attende
il proprio turno. Ma non c’è mai troppa gente nel nostro ufficio, ed io da sola
riesco a servire tutte le persone che vengono da noi nella mattinata. Il resto
del tempo di ogni giorno poi lo trascorro con monotonia a casa dei miei, ad
aiutare mia madre, specialmente da quando il mio papà si è ammalato, e non
riesce più ad alzarsi dal letto, se non con grande fatica e sofferenza. Allora
accenno ai miei genitori chi è venuto quel giorno all’ufficio postale e cosa mi
ha raccontato, così loro si svagano ed hanno qualche notizia fresca di ciò che
accade in paese.
Forse
dovrei aver frequentato di più qualcuno della mia età. negli anni passati, e
magari essermi intrufolata in una cerchia di amici e di amiche con cui adesso
uscire qualche volta, almeno alla domenica. Invece sono arrivata ad avere quasi
trent’anni, e soltanto qualche vecchio compagno di scuola mi saluta con
cortesia quando mi incontra per strada, oppure se si fa vedere alle poste per
qualche commissione. Ma quasi tutti si sono sposati, ed hanno ormai la loro
vita, mentre io sono rimasta ai loro occhi soltanto una zitella. Così, quando
questo Alberto, di dieci anni più grande di me, un collega dell’ufficio postale
che precedentemente neppure conoscevo, mi ha chiesto sottovoce se mi andasse di
uscire con lui una sera, gli ho detto di sì, anche se non ho risposto subito, e
l’ho lasciato, almeno per un po’, immerso nel dubbio. A mia mamma naturalmente ho
raccontato una balla, poi mi sono fatta attendere con la macchina ad almeno
cinquanta metri di distanza da casa mia, in maniera che nessuno sospettasse che
quella sera mi vedevo da sola con un uomo, ma lui è stato cortese, mi ha
portata in un locale di Pisa che già conosceva, in fondo poco distante dal
nostro paese, e mi ha parlato di sé, delle sue giornate, del fatto che a volte
si sente un po’ solo. Sostanzialmente mi è parso timido, già così come mi
pareva in ufficio, ma in fondo ho apprezzato davvero il suo sforzo per avermi
invitata, anche se non mi è sembrato avessimo molte cose in comune.
Dopo
qualche settimana, è tornato alla carica, e con un foglietto quasi
incomprensibile lasciato piegato sul piano dello sportello a cui lavoro, mi ha
chiesto di nuovo di fare un giro con lui, nella serata. Naturalmente gli ho
detto di no, e così l’ho costretto in questo modo a chiedermelo ancora, nei
giorni seguenti, almeno per un altro paio di volte. Non sono molto bella, me ne
rendo conto, e di lui non sono neppure del tutto sicura che non abbia una
fidanzata da qualche parte. Non abita nel mio paese, ma in uno vicino, così non
riesco a sapere molto di lui. Sono una preda facile per uno come Alberto, è
evidente, ed anche se la sua presenza viene a movimentare un po' le mie
giornate, non voglio certe mostrarmi arrendevole. In più c'è da dire che nel
nostro ufficio postale basterebbe una sciocchezza per lasciar comprendere a
tutti che ce la stiamo intendendo io e lui, e da lì a farne notizia di popolo in
tutto il paese, sarebbe proprio un attimo. Quando vado a lavorare, al mattino,
lo trovo già lì che smista i pacchi, prima che venga aperto lo sportello per il
pubblico. Lo saluto, certamente, ma senza guardarlo mai troppo, anzi tenendo
nei suoi confronti quella leggera indifferenza che secondo me è assolutamente
necessaria, fermandomi invece spesso a parlare con la direttrice e con gli
altri, proprio come se Alberto, ai miei occhi, avesse un valore minore.
Bruno
Magnolfi
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