Ho pensato
con serietà che devo assolutamente liberarmi di questo ragazzetto che prosegue
ad angustiare tutte le mie giornate con la propria presenza ingombrante e
fastidiosa. Non so esattamente come fare per togliermi dalla mente tutti i
ricordi che lo contraddistinguono, ma se da un lato la memoria dettagliata dei
tempi della scuola di via delle matite la potrei ancora tollerare in qualche
maniera, è la sua presenza intorno a me, come un odioso fantasma che va e che
viene a proprio piacere, che non riesco più ad accettare. In ultima analisi,
senza neanche averci riflettuto sopra troppo a lungo, credo che io abbia il
dovere di ucciderlo, di eliminarlo, di sopprimerlo fisicamente, una volta per
tutte. Sto lì, dentro l’albergo, in piena notte, ad osservare con attenzione,
come sempre mi capita, il registro degli arrivi e quello delle partenze, e
intanto sento, quasi come una minaccia, il suo respiro leggero dietro le
spalle. Mi volto, e lui è lì, che mi guarda, come se il suo giudizio su
qualsiasi cosa io stessi facendo fosse già stabilito, con la sua evidente
portata negativa, il suo risentimento, la propria critica nei miei confronti.
Nessuno, più di me, credo possa aver mai dovuto sopportare un tale peso sopra
le spalle, almeno mi immagino. Sono giunto ormai al punto di ricusare qualsiasi
fatto mi sia accaduto in quegli anni, pur di non aver ancora a che fare con la
sua presenza ormai fattasi a dir poco insopportabile.
Qualsiasi
cosa io mi metta in testa di fare, devo costantemente fare i conti con i suoi
giudizi, anche se non mi giungono quasi mai direttamente, limitandosi da parte
sua ad un’alzata di spalle, talvolta ad uno sguardo poco lusinghiero, e anche
più spesso un repentino voltarsi e andarsene. Ho cercato con tutte le mie forze
di restare indifferente ai suoi comportamenti, ma la fatica che ho impiegato
anche soltanto per fingere il distacco che vorrei dalle sue prese di posizione,
vere o presunte, è sempre stato tale da rendermi incapace di contrastare ogni
suo atto. Così mi sento continuamente in balia della sua presenza di soffio,
del suo aleggiare intorno a me con quei modi supponenti e critici. Ho provato
persino a parlarne con questa signora, la prostituta che qualche volta viene a
farmi una visita mentre lascio trascorrere le ore della notte dentro l’albergo
dove presto servizio, ma mi sono rapidamente reso conto che neppure lei riesce
a dare retta al mio disagio, restando incredula di ogni mia sofferenza, come se
ogni afflizione che io provo fosse in dipendenza solamente della mia
personalità malata. E poi anche di questo ha avuto da ridire: <<Lei sta
troppo da solo>>, mi ha detto con semplicità. <<Questo non sarebbe
un male in sé>>, ha proseguito; <<Però bisogna essere capaci di
fronteggiare questo stato, di avere una forza interna superiore, e lei ha
dimostrato ampiamente di non essere capace di reggersi in piedi così>>.
Ho annuito, come faccio sempre in
questi casi, poi le ho preparato il suo solito caffè, lei mi ha ringraziato, ed
alla fine si è alzata e mi ha salutato appena con un cenno, dimostrando forse
che non meritavo molto di più. Non so neppure a chi rivolgermi per chiedere un
consiglio, un’opinione disinteressata, che non metta avanti i soliti pregiudizi
verso dei casi come il mio. Durante qualche mattina tra le ultime trascorse, al
termine del mio orario di lavoro, mi sono incrociato con Clara mentre stava arrivando
in albergo per prendere servizio, ma mi è parsa indifferente nei miei
confronti, e poi nervosa, agitata, distante perciò dalle mie preoccupazioni e
dai miei pensieri. Per strada poi, mentre me ne tornavo a casa, ho incrociato
nuovamente Paolo, il mio piccolo alter ego, mentre, notando il falso
atteggiamento di chi sta transitando per la strada quasi per caso, poco è
mancato che iniziassi a rincorrerlo per dargli una lezione. La mia amica
prostituta forse ha ragione, ho riflettuto: la mia giornata è vuota di
personaggi e di individui con i quali scambiare anche delle semplici opinioni,
e le poche persone che saluto quando mi trovo ad incrociare qualcuna di loro
durante la giornata, mi appaiono ingabbiate dai loro problemi, distanti da chi
si muove attorno a loro, ed anche incapaci di occuparsi d’altro che non sia
dato dai loro stessi guai. Certe volte penso che i pensieri da cui sono
costantemente circondato siano persino troppi per permettermi di avere dei
giudizi obiettivi sulle cose. Si attorcigliano, si mescolano, richiedono ognuno
troppo tempo per essere presi con calma e analizzati; perciò, mi trovo a subire
questo stato, senza nessun’altra possibilità.
Devo introdurre in campo un piano
ben congegnato, penso con concretezza: devo rompere la mia solitudine e
contemporaneamente liberarmi del passato che mi ossessiona sotto forma di
questo ragazzino odioso. Poi mi siedo, mi tranquillizzo, socchiudo gli occhi un
attimo, e quando li riapro lui è lì, davanti a me, che forse si fa persino beffe
della mia triste condizione.
Bruno Magnolfi
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