Nel
pomeriggio, dopo aver riposato per l’intera mattinata, finalmente esco da casa,
senza neppure avere in testa una meta precisa, ma soltanto per camminare e
respirare un po’ d’aria all’aperto. In mente ho soltanto qualcosa di confuso,
come se la mia giornata si aprisse meccanicamente verso la ripetizione di
quella precedente, una copia esatta delle tante altre giornate proprio come
questa, priva com’è di un vero scopo. Percorro alcune strade, salgo sui
marciapiedi, osservo le persone che incontro lungo il tragitto. Infine, entro
in un locale, mi siedo ad un tavolino ed ordino un caffè. Mi accorgo poco dopo
che alle mie spalle c’è la donna che qualche volta viene a farmi visita a notte
fonda mentre svolgo il mio lavoro di portiere di notte in albergo. La guardo,
le sorrido, vedo che è da sola, che non sta facendo niente di particolare se
non sorseggiare una tazza probabilmente di tisana, tranquillamente seduta ad
osservare la città fuori dalla vetrina che le rimane di fianco. Mi guarda a sua
volta per un momento, e finge subito di non riconoscermi, voltando lo sguardo
dalla parte opposta; o magari non finge affatto, penso io; capita spesso che
variando la panoramica di una situazione, chiunque di noi faccia fatica a
trasporre una fisionomia che conosce anche da tempo, ma in un altro diverso
contesto. <<Buonasera>>, le dico allora guardandola direttamente, con
voce sufficientemente alta da non permettere così alcun equivoco, e lei mi osserva
per un attimo, con espressione seria, quasi severa, rispondendo al mio saluto
in maniera forzata, come facesse tutto questo soltanto per educazione.
<<Non ricorda l’albergo, il portiere di notte, lei che viene a prendersi
un caffè ogni tanto nella saletta al piano terra?>>, chiedo io.
<<Signore>>,
sussurra lei con calma; <<sta sbagliando persona>>, mi spiega in
fretta chiudendo così qualsiasi conversazione, ed io resto in un attimo
praticamente come un ebete a dover ammettere che forse realmente sto equivocando,
e che davvero non è questa la donna che ho già visto tante altre volte.
Rifletto: forse durante il giorno questa signora conduce una vita totalmente
diversa da quella notturna, e proprio per questo un aspetto di sé riesce a restare
del tutto separato dall’altro, forse addirittura a propria completa inconsapevolezza.
Osservandola meglio, però, anche se non direttamente, ma quasi di nascosto, mi
accorgo che in effetti è vestita in modo molto differente dalle volte in cui ha
bussato alla grande porta vetrata dell’albergo dove svolgo le mie mansioni,
proprio per salutarmi, per entrare dentro e trascorrere così qualche minuto
seduta in mia compagnia a parlare, durante alcune notti vuote e silenziose. Uno
sdoppiamento di personalità, immagino adesso, anche se in fondo il fatto che
possa accadere una cosa del genere in una persona stravagante come lei non è assolutamente
fuori luogo, oppure da escludere. Mi volto, sorseggio il mio caffè, mi
disinteresso totalmente di questa donna, come se accanto al mio tavolo fosse
seduta una perfetta sconosciuta.
Lascio
sprofondare i miei pensieri tra tutti gli argomenti che più di altri mi tornano
alla mente quando sono solo, e così riprendo velocemente a riflettere sul mio
passato, su quel lungo e strano periodo durante il quale frequentavo la scuola
elementare. <<Paolo>>, mi chiamava allora la maestra. <<Sei
di nuovo imbambolato, sprofondato dentro ai tuoi pensieri, come se intorno a te
non ci fosse un’intera classe di ragazzi scalmanati e confusionari>>,
diceva con ironia ma anche grande serietà. Gli altri ridevano, scherzavano su
di me, io tornavo improvvisamente ad appoggiare i piedi sulla terra, a
riprendere coscienza del luogo dove mi trovavo, e forse di ciò che tutti si
attendevano dal mio comportamento. Magari, in quei casi, succedeva spesso che
l’insegnante mi ponesse, a seguito del suo richiamo, anche qualche domanda
repentina, probabilmente per vedere se la mia attenzione fosse già tornata a
dei livelli sufficientemente accettabili. <<Quali sono i paesi confinanti
con la nazione in cui viviamo?>>, chiedeva; oppure: <<Quale credi
che possa essere il risultato della moltiplicazione del numero sette con il
numero otto?>>. Io ci riflettevo in silenzio per qualche attimo, e poi,
con scarsa convinzione, davo la risposta, a volte giusta, in altri casi errata,
lasciando tutti nella classe, in questi ultimi casi, a ridere di gusto per la
mia goffaggine.
Improvvisamente,
mi sento ancora più solo di quello che sono normalmente: neppure le persone che
mi trovo a frequentare ogni tanto riescono a vedere in me qualcosa di
riconoscibile, ed io sono rimasto per così tanti anni un imbambolato incapace
di relazionarmi con gli altri in modo adeguato. La donna, ancora vicino a me,
infine si alza dal suo tavolo, raccoglie la sua borsetta e qualche altro
oggetto, muove lentamente qualche passo verso l’uscita del locale, ma ad un
tratto si gira, proprio mentre è ancora poco lontana dal mio posto. <<Arrivederci>>,
mi dice adesso con voce appena percettibile; <<Non tema, anche se non la
conosco affatto verrò ugualmente di nuovo a farle qualche visita>>. Non rispondo
niente, trattengo l’espressione che avevo già sul viso, guardo qualcosa fuori
dalla vetrina: siamo tutti un po’ soli, rifletto.
Bruno
Magnolfi
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