Ci siamo seduti ad un tavolo libero,
una volta entrati dentro al locale. Mi sentivo nervoso, all’improvviso mi
pareva che quell’appuntamento non mi avrebbe mai portato a niente di buono, e
tutto quello che avevo avuto in mente di essere, quando le avevo chiesto di
vederci fuori dall’orario di lavoro, fosse ormai quasi svanito, lasciando
soltanto un mucchio di perplessità. Naturalmente era scontato parlare di tutto
quanto ciò che desideravamo, a meno che non riguardasse il nostro reciproco
lavoro, considerato che stavamo cercando tra noi un collante ben diverso da
quello degli orari, delle esigenze degli ospiti dell’albergo, dei turni da
coprire e dei ruoli da svolgere, ed anche di tutte le altre cose di quel
genere. Clara pareva a proprio agio, ci eravamo fatti servire due aperitivi, e
lei aveva sorriso, ma con un’espressione leggermente enigmatica. <<Con
mio marito le cose non vanno molto bene>>, aveva detto quasi subito come
per confessare qualcosa da cui si sentiva oppressa, forse per sgombrare il
campo anche da qualche equivoco. <<Stiamo assieme da tre anni, ma il
nostro rapporto si sta spegnendo poco per volta, come la fiamma d'una candela
che non ha più ossigeno>>. Mi concentravo su qualcosa che mi restava di
lato, anche perché non volevo dare importanza a quelle confessioni: non mi
riguardavano, ed anche se non avevo alcuna opinione in merito, non mi pareva
comunque il tema migliore per una serata a due come la nostra. Tagliai corto:
<<La mia solitudine da un lato mi piace>>, le dissi; <<Dall’altro
però mi preoccupa>>. Mi pareva che offrire uno spaccato dei miei pensieri
da confrontare ai suoi, fosse un ottimo inizio per uno scambio sincero di
opinioni. Lei mi guardava con una specie di espressione ironica, come se quello
che le stavo dicendo fosse qualcosa di cui ridere, oppure al limite da non
prendere troppo sul serio.
Mentre stavamo ancora parlando,
giunse Paolo, del tutto inatteso. Cercai di dare una spiegazione: <<Mi
sono quasi fissato sul ricordo della mia adolescenza, su quei giorni in cui
andavo a scuola, sui momenti durante i quali le scelte erano ancora da
compiere, e le idee giravano rapidamente dentro la mente, tanto che gli amici e
i compagni del quartiere erano il semplice specchio di ciò che apparivi.
Adesso, quel mio ricordo, viene spesso a trovarmi, si manifesta, mi giudica, a
volte addirittura si permette di criticare le mie scelte, anche per ciò che
sono diventato, ed io gli oppongo i suoi comportamenti dell’epoca, quando tutto
sarebbe stato possibile scegliere>>. Lui ora mi osservava senza
espressione, restando vicino al bancone dove venivano servite le birre e i
caffè. Clara si volse, ad un tratto, scosse la testa come per mostrare la sua
incomprensione, mi guardava con la faccia di chi non sa cosa pensare.
<<Non preoccuparti>>, le dicevo intanto con calma; <<Non sono
impazzito. Sto soltanto facendo i conti con la mia adolescenza, e cerco di
comprendere cosa sia stato a farmi perdere spesso la bussola, ad iniziare da
quel periodo scolastico>>.
Lei allora cercava di cambiare
argomento, di riprendere dalle parole con cui si era interrotta, e diceva che
suo marito era diventato quasi indifferente nei suoi confronti, come se non
avesse mai avuto una moglie, una casa, il dovere di un comportamento da
coniuge, e la presenza di una donna come lei nella sua giornata fosse diventata
quasi un fastidio. <<Forse mi tollera,>>, aggiungeva Clara,
<<ma niente di più>>. Ed allora io dicevo subito che in quelle
condizioni probabilmente tutto doveva diventare insopportabile, e gli stessi
gesti consueti qualcosa di stanco e di antipatico, fino al desiderio di
andarsene, di smetterla con quel comportamento trito e ordinario, di chi resta
sempre in attesa che avvenga qualcosa di diverso. <<Certo>>, diceva
lei; <<è proprio così; la voglia continua di trovare quel punto di svolta
che non arriva, che non giunge mai, mentre le cose si ripetono, e le
espressioni, e le poche parole da dire, sono sempre le stesse>>. Mi
guardavo attorno allora, osservavo per un attimo Paolo ancora in piedi, con il
suo zaino scolastico sopra le spalle, e annuivo: <<Mi giravano in testa
sempre gli stessi identici pensieri>>, dicevo; <<E le mie giornate
erano sempre le stesse, impalpabili, composte soltanto da quelli>>.
<<Vivere vuol dire anche
accettare e comprendere ciò che si è stati nei periodi precedenti>>, interveniva
allora Paolo; <<Le scelte sono il presente, il resto no>>. Clara mi
guardava, forse voleva aggiungere qualcosa, ma infine beveva un sorso dal suo
bicchiere e restava in silenzio. Mi sentivo imbarazzato, probabilmente sarebbe
stato meglio non averla invitata in quel locale, e d’improvviso tutto pareva
riprendere la stessa forma di tutti gli altri errori commessi. Quando infine ci
alzavamo dal tavolo per andarcene, senza più alcuna voglia di sorridere,
probabilmente pensavamo reciprocamente alla maniera migliore e indolore per
chiudere quella nostra parentesi: niente, come non fosse mai accaduto, come se
non avessi detto nulla di noi, come se dovessimo soltanto rientrare rapidamente
nel ruolo di colleghi di lavoro, buoni soltanto a parlare di turni e di orari.
Bruno Magnolfi
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