La
mamma, qualche tempo prima di quel periodo, aveva accennato a qualcosa su un argomento
che forse non avevo bene afferrato: certi discorsi scambiati con mio padre
attorno al fatto che lei si sarebbe potuta assentare da casa per un giorno o
due, o qualcosa del genere, mi erano sembrati forse ipotesi remote e prive del
tutto di consistenza. Poi non ci avevo più neppure pensato, ma la sera di una
domenica qualsiasi, trascorsa proprio come tutte le altre, al momento in cui
mio padre era già andato a letto perché avrebbe dovuto alzarsi molto presto
l’indomani mattina per recarsi all’estero per tutta la settimana con il suo
autotreno, la mamma era venuta da me nel mentre mi preparavo a coricarmi,
giusto per farmi presente con poche parole che il giorno successivo, tornando
da scuola, non l’avrei trovata a casa come al solito, e che dovevo fare tutto
da me. Lei naturalmente mi avrebbe lasciato delle cose da mangiare già pronte,
facilitandomi i compiti domestici, e poi anche dei soldi dentro una busta, in
caso di necessità, e tutto con la raccomandazione finale che se mi fossi
trovato nei guai per qualche motivo, avrei dovuto rivolgermi ai vicini del
piano superiore al nostro appartamento. Non trovai niente di difficile
nell'immaginare alcuni giorni in casa da solo, lei aveva detto tutta la
settimana, così annuii alle sue parole e promisi di fare tutto con il migliore
buon senso. Avevo quasi intuito che la mamma sarebbe andata in ospedale per
un’operazione chirurgica, ma dalla sua espressione rilassata non mi parve che
dovesse affrontare niente di particolarmente rischioso o complicato né per lei
e né per le sue condizioni di salute.
A
scuola, dai comportamenti che immediatamente notai, sia quelli dell’insegnante,
sia quelli dell’amico custode, mi accorsi fin dal giorno seguente che loro
dovevano essere al corrente di tutto, considerate le proprie attenzioni per me,
e la cosa non mi fece neppure troppo piacere perché sembrava quasi che i miei
genitori non nutrissero una grande fiducia nella mia possibilità di cavarmela
da solo come invece ero sicuro di dimostrare. Al contrario ero quasi contento
di poter finalmente avere a disposizione tutto ciò che desideravo, compreso anche
il tempo per realizzarlo, ma neppure per un momento pensai di fare qualcosa di
diverso dal solito, anzi, il mio impegno, riflettevo, sarebbe stato esattamente
quello di fare esattamente tutto ciò che ci si attendeva da me. Nel frigorifero
c’erano diverse cose da mangiare già pronte, ed era sufficiente scaldarle sopra
al fornello, ma a me venne subito a mente che con i soldi della busta potevo
andare dal droghiere ad acquistare anche qualcosa di diverso. Mi sentivo grande
e importante nel prendere delle decisioni, ed anche se appariva un po’ triste
il mio appartamento così vuoto senza la mamma, decisi di spostare degli oggetti
in modo da renderlo più allegro e abitabile, almeno secondo il mio parere. Per
nessun motivo avrei mai ricorso all’aiuto degli inquilini del piano superiore,
due coniugi antipatici e scostanti che a malapena salutavo incontrandoli lungo
le scale, e così cercai di fare il minor rumore possibile in casa, in modo da
non stuzzicare la loro curiosità.
Una
cosa che mi sarebbe piaciuta terribilmente, però, era quella di invitare il mio
compagno di banco a visitare casa mia, e dimostrargli così che oramai ero un
ragazzo che sapeva cavarsela da solo, e che il comportamento scostante di tutta
la classe nei miei confronti era ormai ampiamente ingiustificato. Quando chiesi
a lui di raggiungermi, invece, il mio compagno declinò subito l’invito, spiegando
che non aveva molto tempo in quei giorni per via di qualcosa in cui era
impegnato e che non poteva rimandare. Pensai subito ad una scusa, ma non mi
detti per vinto. Ad uno ad uno invitai tutti i compagni a visitare casa mia,
anche coloro che non potevo soffrire, in fondo pensavo che essere in possesso
di una invidiabile collezione di figurine dei calciatori da mostrare agli altri,
non era da tutti, e qualcuno alla fine accettò, forse anche per la curiosità di
vedermi immerso in un altro ambiente. Vennero in tre, nel pomeriggio, con le
mani nelle tasche e l’espressione di chi non ha proprio altro da fare; dettero
un’occhiata alla casa, alle mie figurine, parlottarono un po' tra di loro,
risero non so di che cosa, e poi se n’andarono. Il giorno seguente tutti
dicevano che io ero strano, che era giusto tenermi a distanza, che non c’era
niente di buono nei miei comportamenti.
Il
custode intanto aveva preso le mie difese, aveva cercato di sostenere che ero
un ragazzo come tutti e che nessuno aveva il diritto di parlare male di me, ma
alla fine io rimasi contento soltanto quando suonò la campanella e potei
raggiungere casa mia, per starmene da solo. La mamma tornò, ma sembrava
un’altra persona tanto era pallida e priva di forze. Passerà anche questo
periodo, pensai, come tutti gli altri. Tornò anche il babbo, al sabato, ed io
tirai un sospiro di sollievo.
Bruno
Magnolfi
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