Sto scappando, a
gambe levate e con le braccia scomposte, mentre la mia testa brulica di
pensieri ricolmi di paura per ciò che forse potrà ancora accadermi in questi
pochi metri che ancora non mi separano del tutto da quell’incrocio urbano luogo
di gravi e pretestuosi disordini ai danni nostri, manifestanti incolpevoli.
Alle mie spalle lascio una strada piena di fumo e di rumori forti e
incomprensibili, colma di risentimenti e forse anche di assurde vendette che
alla fine neppure comprendo bene, intasata com’è apparsa da alcune scelte di
potere che mostrano semplicemente il desiderio di annullare tutti coloro che
hanno mostrato la voglia di dare una lettura diversa delle cose, cercando di
trovare e mostrare di fronte all’opinione pubblica un vero responsabile
tangibile di un qualcosa che non si sa neppure definire cosa possa essere. Però,
la cosa essenziale, almeno per me che per la prima volta vivo un’esperienza del
genere, è quella di allontanarmi da quel luogo, trovare rapidamente la maniera
per essere distante da tutto quanto, come se in fondo quello che è appena
successo non mi riguardasse del tutto direttamente, limitandosi a sfiorare
appena le mie blande convinzioni, evitando di incidere davvero su quanto oggi
mi ha portato svogliatamente fino lì.
Un minuto, forse
due, il tempo esatto in cui avvengono tante cose diverse, quando
improvvisamente si tocca con mano qualcosa che non si credeva neppure
possibile, ed invece lui è qui, ad un passo da noi, come il risultato di un
destino capriccioso, che varia i percorsi di tutti i pensieri e le giornate. Di
colpo sono stanco, sfinito, e soprattutto sono da solo a decidere in quale
maniera assorbire dentro di me questa brutta esperienza, e come far risultare questa
possibilità di violenza contro me stesso come una concreta consapevolezza, una
crescita, un tassello di discernimento che rimarrà per chissà quanto tempo in
mezzo ai miei pensieri. Sembra quasi che la mia fantasia non sia stata capace
da sola nel farmi intraprendere questo percorso, ed invece è stato sufficiente
lo scoppio della realtà per farmi comprendere che cosa a volte ci sia dietro alle
cose vissute come un gioco, come uno scherzo, come qualcosa da non prendere mai
troppo sul serio. Non mi guardo indietro, non ho bisogno di vedere con i miei occhi
ciò che è accaduto, ho tutto quanto ciò che mi serve già dentro la testa,
meditato e riflettuto quanto basta per farmi fare quel salto di consapevolezza
che forse mi mancava completamente fino ad oggi.
Non ho bisogno di
spiegazioni, nessuno dovrà dirmi che cosa realmente è accaduto e per quale
assurdo motivo si è verificato quello che insieme agli altri ho dovuto subire:
so per certo adesso che esiste l’ingiustizia, e che questa si manifesta certe
volte nei modi più strani e imprevedibili possibile, e devo averne coscienza da
ora in avanti, perché nessuno mi chiarirà mai l’irrazionalità che sta dietro
all’improvviso turbinare illogico di ogni aggressione. Mi fermo dietro ad un angolo
di una casa qualsiasi, col cuore in gola ed il fiato che ormai non ho più, e
penso proprio in questo momento di essere rimasto da solo, con tutti i pensieri
che continuano a brulicarmi dentro la testa, mentre invece mi accorgo voltandomi
di scatto che c’è Niocke dietro di me, che mi ha seguito fin qui, forse
riconoscendo la mia pur debole saggezza nel trovare certe scappatoie, o magari
fidandosi del mio semplice portare me stesso verso la salvezza, e in questo modo
indicare anche a tutti gli altri la strada più giusta per mettersi al sicuro.
Mi volto, lo guardo, e d’impulso lo abbraccio. È contro di lui che si cerca di
portare avanti tutta questa aggressione, ed adesso lo so con certezza, ne sono
assolutamente consapevole, ed io allora voglio stare appieno dalla sua parte,
desidero proteggerlo da questa realtà sporca, da questo mondo così assurdo, perché
provo la volontà di essergli fratello, e contemporaneamente di marginalizzare
quella stessa volontà cruenta misurata da noi appena pochi minuti indietro, quella
che non accetta alcuna variazione possibile lungo la propria strada segnata.
Niocke si lascia
abbracciare tremando, quasi con timidezza, e poi dice soltanto: <<Siamo davvero
amici adesso, caro Marco; lo sapevo fin dall’inizio che tu eri così, che avevi
la sensibilità giusta, anche se la nascondevi per non farla apparire come una
semplice debolezza>>. Annuisco, ha ragione, al momento non ho niente da aggiungere,
resto in silenzio, però gli sorrido, perché sono contento delle parole che sta
usando, sono le stesse che in questo momento vengono in mente anche a me, e
sono felice di poter stare con lui, di mostrare senza alcuna remora che la vera
salvezza sta esattamente nel nostro aiutarci a vicenda. <<Essere delle
belle persone è la cosa che conta più di ogni altra>>, dico alla fine,
mentre al limite del mio campo visivo noto che tutto intorno a noi adesso è
calmo, come se nulla fosse successo, e la violenza scagliata contro un gruppo
di studenti senza nessuna colpa fosse ora diventata la molla per far trovare a
tutti quella solidarietà che forse mancava.
Bruno Magnolfi
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