mercoledì 5 agosto 2009

Benvenuta.

            

            Aveva camminato a passi svelti verso la fermata dell’autobus distante appena poche centinaia di metri da casa sua, ma avvicinandosi a quel tratto di strada aveva leggermente rallentato l’andatura, come se volesse far trascorrere qualche altro momento prima di salire su quel mezzo pubblico. In fondo era presto, c’erano ancora più di due ore prima dell’inizio della sua prima lezione come insegnante di scienze. Era una supplenza di soli quindici giorni, quella per cui era stata chiamata, ma lei, laureata nemmeno da un anno, si sentiva già persa, le sembrava di non essere assolutamente all’altezza per affrontare gli alunni di quel benedetto liceo, era sicura, una volta che fosse entrata dentro a quell’aula, di non ricordarsi più niente. L’autobus era il solito, quello che aveva sempre preso per andarsene alle lezioni dell’università durante tutti quegli anni volati in un attimo, ma adesso le pareva che tutti là sopra guardassero lei, che le strutture di metallo per reggersi fossero come surriscaldate, che quel tratto di strada non finisse in nessuna maniera e contemporaneamente fosse persino troppo breve. Non si sentiva esattamente come quando aveva dovuto sostenere i suoi esami alla facoltà di biologia, era diverso, era come se una parte cospicua del problema non dipendesse da lei, dalla sua preparazione; come se delle incognite di genere vario fossero di fronte alla sua cultura scolastica a tenderle tranelli in cui inevitabilmente, già lo sapeva, sarebbe caduta come una sciocca. Pensava ai suoi anni di scuola, quando era lei a studiare al liceo, e a quegli insegnanti supplenti che erano passati, in ogni genere e grado, dalla sua classe. Figure anonime, alle quali non si era dato alcun credito, che probabilmente, come lei adesso, avrebbero voluto intavolare lezioni ben fatte, professionali, all’altezza dei tanti anni di studio alle spalle, ma non avevano avuto alcuna possibilità, erano state osteggiate, denigrate, sminuite, proprio come sospettava sarebbe accaduto anche a lei. Aveva paura di quei ragazzi che tra poco avrebbe avuto di fronte, inutile nasconderlo, proprio quegli stessi dei quali aveva fatto parte anche lei: le sembrava impossibile adesso, che anche lei fosse stata crudele, miope, stupida, senza minimamente rendersi conto che tra le cose possibili ci sarebbe stato anche quel rovesciarsi di parti tra l’aguzzino e la vittima. Avrebbero riso della sua timidezza, si sarebbero fatti beffe di lei, della sua goffaggine innata, di quei suoi modi poco pregnanti, di tutti i suoi anni di studio che all’improvviso erano lì e non servivano a niente, se non a farle fare quella figura da stupida, di una che non riusciva neppure a far fronte ad un branco di adolescenti che avevano tutto da apprendere, da ascoltare, conoscere, invece di gettare discredito su ogni cosa passasse da lì. Infine anche l’autobus era arrivato davanti alla scuola, lei ne era scesa, era entrata dentro al grande portone di legno del liceo “Galilei”, aveva scambiato qualche veloce parola con la segretaria, era passata in aula insegnanti, aveva preso il registro, inforcato gli occhiali, salutato un custode, entrata senza respiro dentro alla classe che grondava del sangue di tutti i supplenti che erano passati da lì prima di lei; e all’improvviso: silenzio; i ragazzi erano in piedi, la salutavano, la loro supplente di scienze era là dentro la benvenuta.


            Bruno Magnolfi 

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