La città
sembrava sterminata visitandola a piedi. Incontravi centinaia di visi
sconosciuti e nessuno di loro faceva caso al tuo sguardo. Osservavi tutti quei
marciapiedi, i negozi, l’asfalto stradale, fino a che tutto, poco per volta,
diventava omogeneo, privo di particolari di sorta. Il susseguirsi di incroci,
di piazze, di alberi stenti, di case e palazzi dalle facciate monotone sembrava
privo di qualsiasi rilievo, come se solo la frequentazione assidua e costante
di tutto quell’insieme di cose potesse evidenziare qualche caratteristica di
scarso risalto, ed il resto fosse conforme ad un unico stile. Un cane randagio
avrebbe potuto aggirarsi tra strade e viali affidandosi unicamente al suo naso,
alle scie degli odori di cui sicuramente era pieno un territorio così
variegato, costituito da bar, ristoranti, giardinetti di scarso rilievo,
fermate degli autobus, punti di raccolta per spazzatura e nettezza. E tutta la
gente continuava a incrociarsi e a scansarsi, chi più di fretta chi meno, con
il loro bagaglio di cose da fare, da pensare, da essere, immedesimandosi ognuno
in un solo personaggio possibile: il cittadino. Alla sera qualche volta
pioveva, e l’asfalto bagnato rendeva quel panorama ancora più impersonale, con
le auto che schizzavano l’acqua, e con gli ombrelli che si muovevano a sciami,
lungo i marciapiedi del centro. Essere soli dentro ad una città come quella è
una contraddizione incredibile, forse basta un saluto, un piccolo scontro
fortuito, un sorriso diretto a qualcuno, e tutta quella realtà generale così
disarmante si trasforma in un attimo, aprendo le porte ai dettagli, ai
particolari più piccoli, alle parole e alle frasi da scegliere e pronunciare
con calma, grati di quell’attenzione guadagnata con poco. Alfredo era solo un
viandante, un barbone, di passaggio per quella città, avrebbe passato la notte
nella stazione dei treni, non poteva farne a meno, ma l’indomani non sarebbe
rimasto per nessuna ragione. Quando raccolse quel libro, lo fece d’istinto, ma
la signora che si volse verso di lui comprese perfettamente la generosità che
stava dentro a quel gesto. Lo ringraziò, gli chiese il suo nome, avrebbe voluto
dargli dei soldi, ma forse sarebbe stato offensivo, così lo invitò a casa sua,
per fargli conoscere i figli, disse, la sua famiglia. Alfredo cercò di
schernirsi, non si sarebbe sentito a suo agio, disse sincero, ma la signora
insistette, abitava giusto a due passi. “Va bene, la seguo”, disse con
l’intonazione più dolce che ricordasse del tempo in cui ancora non viveva per
strada, e aveva un lavoro, una casa, e si sentiva come tutti quegli altri, le
persone normali, non come adesso, che la sua vita era ridotta ad un niente, ad
un giorno per giorno in cui trovare qualcosa di buono da mettere dentro allo
stomaco, e una cuccia dove passare la notte. La signora era gentile, lo fece
sedere, pur sporco com’era, gli dette i biscotti, del tè, del vino dolce che
teneva di scorta, lo fece parlare, e Alfredo usò poche parole per descrivere
quale sfortuna lo avesse portato ad essere un niente, anche se gli pareva di
dire delle cose scontate. Poi si fermò, lasciò perdere qualsiasi convenevole,
si ricordò che era stato insegnante nelle scuole di stato, anche se era
trascorso del tempo, disse che il libro che era caduto dalle braccia della
signora avrebbe potuto essere scritto da lui, perché anche lui tanti anni fa
aveva pubblicato qualcosa; disse che in quella città, come in ogni città, si
vivevano dei rapporti falsati, che ognuno era accecato dal proprio egoismo, che
si fingeva una generosità inesistente, che tutto era inutile, le persone erano
tutte diverse l’una dall’altra, ed ognuna viveva soltanto la superficie della
realtà. Disse che ognuno era dentro a una cella, costretto a convivere solo con
una piccola parte delle cose possibili, e questo valeva per tutti, non c’era
bisogno di fingersi buoni o più generosi, era questione di struttura sociale,
di politica, di atteggiamento borghese che definiva perfettamente ogni classe,
senza possibilità alternativa. Silenzio, Imbarazzo. Il marito congedò Alfredo
con quattro parole, e lo lasciò uscire di casa che ancora pioveva, ma lui si
sentiva ugualmente contento: aveva fatto il suo recital, la dimostrazione
effettiva che non ci potevano essere davvero rapporti tra due classi sociali così
differenti.
Bruno
Magnolfi
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