Camminare
per strada, mettermi seduto su una panchina del giardinetto del mio quartiere,
sfogliando un giornale giusto per occupare gli occhi e la mente, e far
trascorrere il tempo. Tornare a casa, dopo il lavoro, accendere la radio sul
mobile, compiere i soliti gesti di rito, pressappoco con i medesimi orari, quasi
ad osservare delle direttive precise, e lasciar trascorrere il tempo. Scendere
certe volte giù al bar a scambiare qualche parola con le conoscenze di sempre,
ragazzi che giocano a carte, che si prendono in giro e che ridono, passare la
serata a guardarli, e farmi fare un caffè dal barista, proprio per conservare
quell’aura di cliente dentro al locale, e lasciare che il tempo trascorra.
Questi i miei giorni, le mie settimane, gli anni che passano, come un percorso
da compiere, e basta; ma qualcosa di differente si è inserito in mezzo a quei
giorni, a quel tempo indolente. Una bella ragazza la Laura, abita in fondo alla
strada, a volte ci siamo incontrati, ma non l’ho mai salutata, forse per
timidezza, forse perché nessuno ci ha mai presentati. Ma ieri, dentro al
negozio di generi alimentari, le è caduto qualcosa mentre ero lì, un foglietto
di carta, una cosa da niente, ma io l’ho immediatamente raccolto, lei è
arrossita e mi ha ringraziato. “E’ solo la lista delle cose che devo
acquistare…”, ha aggiunto con voce piacevole, ed io, non so come, le ho detto,
mentre uscivamo assieme da dentro al negozio: “Potrei accompagnarti, ti
va?...”. Lei ha fatto segno di si con il capo, mentre sistemava la borsa, poi
lentamente ci siamo avviati sul marciapiede. Le ho detto che sono triste in
questo periodo, che a volte le giornate mi sembrano lunghe, che sono stufo di
far trascorrere il tempo senza che questo comportamento mi dia nello scambio
qualcosa per cui sentirmi contento. Le ho detto che credo di essere un ragazzo
qualsiasi, come tutti, però mi sento sempre da solo, anche quando sono in mezzo
alla gente. Certe volte ho invidia di chi si diverte, le ho detto; non so cosa
abbiano di diverso da me quelli che ridono tanto, però qualche volta mi manca
quel loro sentirsi leggeri, sereni. Lei ha guardato quasi sempre diritto,
avanti ai suoi piedi sul marciapiede, ha fatto cenno di si con la testa, ha
detto che mi comprendeva benissimo, che anche lei certe volte si sentiva nella
stessa maniera. “Non so cosa manca nella mia vita”, le ho detto, “ma questa
mancanza è così forte da annullare anche il resto, come se quello che ho
perdesse di senso al confronto”. Poi Laura era arrivata, ci siamo fermati
davanti al portone, le ho detto che mi aveva fatto tanto piacere parlare con
lei, e lei mi ha risposto che dovevamo ancora parlare, faceva bene parlare, che
avevamo iniziato un dialogo, una cosa importante, dovevamo vederci il giorno
seguente, ai giardinetti, quelli dove io certe volte andavo da solo a sfogliare
il giornale. Andava bene, era tutto perfetto, non c’era da aggiungere altro. L’ho
salutata, poi ho quasi trattenuto il respiro. Un giorno intero è trascorso così,
senza che io mi fossi accorto di niente: mi sono messo seduto a quei
giardinetti, nel pomeriggio, come d’accordo, sopra la panchina di sempre, ho
guardato gli alberi spogli, mi sono reso conto di sentirmi ancora più triste di
quello che avevo creduto, e che l’unica cosa che adesso mi sollevava lo spirito
era lei, sapere che Laura stava arrivando. Poi ho visto da lontano la sagoma,
ho riconosciuto il suo passo, mi sono sistemato ancora meglio sopra quella
panchina, ho cercato di assumere un’espressione che le facesse piacere vedere,
e lei è arrivata davvero, si è fermata lì, davanti ai miei piedi, con il suo
viso dolcissimo, ed io, proprio come un cretino, non ho saputo trattenere le
lacrime.
Bruno
Magnolfi
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