Alla metà di
settembre in spiaggia non c’era ormai quasi nessuno, ed il mare appariva un
tavola di colore scuro ed intenso. La ragazza camminava lungo la battigia, la
testa vuota, nessun’altra voglia se non quella di starsene da sola cercando di
attenuare il malessere. Quello che andava iniziando era il suo ultimo periodo
in facoltà, aveva soltanto da completare la tesi, poi, dopo la laurea, davanti
a sé c’erano soltanto decisioni da prendere. Lei aveva sempre continuato a
studiare, grazie ai suoi genitori, ma senza chiedersi mai cosa doveva succedere
dopo. Si era sempre immaginata di trovare qualcuno, negli anni appena
trascorsi, l’amore forse, o un rapporto stabile e serio, un ragazzo con cui
condividere il futuro che ormai era alle porte; ma non c’era stato nessuno,
niente da ricordare o che valesse la pena per cui spingersi a formulare un
progetto. Così, per automatismo, si era procrastinata la vita per lei,
rinviando ogni momento di vera esistenza, come aspettando sempre momenti
migliori, attimi più adeguati o più adatti, e adesso era lì, quella vita, fredda
ed immobile, come quel mare di fronte, una tavola scura che non lasciava
mostrare niente di sé, solo la superficie increspata. Lei era come già stanca,
stufa di quello che adesso avrebbe dovuto iniziare: cercarsi un lavoro,
instradarsi nel campo per cui aveva sempre studiato, trovare le strade migliori
per introdursi dentro a un mestiere il più possibile dignitoso, senza inaccettabili
compromessi, probabilmente senza dover cedere niente a nessuno, in modo da
sentirsi rispettata dal mondo: alla fine, una vita ordinaria, senza sogni o
segreti, senza sbalzi di umore, senza grandi vere scelte da fare. Un percorso
senza entusiasmi, carente di un qualcosa che adesso a lei pareva essenziale. Improvvisamente
tutto era lì, e si trattava soltanto di raggranellare quello che lei per apatia
aveva perseguito in tutto il percorso degli anni: tanti piccoli granellini di
sabbia trasportati per inerzia spontanea sulla battigia del mare, spersi tra
miriadi di granelli tutti identici, mossi con lo stesso destino, senza che
niente della sua natura sensibile avesse potuto variare quel moto naturale
delle maree e delle burrasche impetuose. Una crudeltà terribile si annidava
nell’andamento di tutte le cose; lei che adesso si sentiva disposta a barattare
tutta la scienza che aveva acquisito con tutti i suoi studi, per un sorriso
qualsiasi, tale da riuscire a scaldare almeno una volta il suo cuore, ecco, lei
non aveva più alcuna scelta, la sua strada appariva segnata, forse anche dentro
alle sue fantasie, che non erano state capaci di spingersi oltre ad un certo
confine. Il mare era bello, in quel settembre inoltrato, eppure il tempo
trascorso per lei adesso era un peso: un’altra estate trascorsa chinata sui
libri, invece di cercare qualcosa che eppure era dentro di lei, lei ne sentiva
gli effetti, e a tratti la spingeva lontano, come quel vento di mare che certe
volte le aveva scompigliato i capelli e asciugato le lacrime agli occhi. Poi,
la ragazza, priva di altre risorse, era risalita con calma verso la strada,
abbandonando la spiaggia, ormai rassegnata a quello che il destino le indicava
di fare, e all’improvviso aveva visto quel cane, un cagnolino spaurito, senza
collare, senza padrone, che era andato verso di lei, come cercando un appiglio,
una riva, un rifugio per la sua vita quasi randagia, e lei lo aveva accolto con
sé come un segno, un simbolo per tutte le cose che forse si era lasciata
sfuggire per non essere stata capace di coglierle. Domani, domani sarebbe stato
diverso, si era subito detta, il cagnolino avrebbe vissuto con lei, adottato da
lei, ed il suo spirito da domani sarebbe stato più libero, privo di quei freni
di sempre, adesso era improvvisamente sicura di sé, lo giurava a se stessa, a
quel mare, e soprattutto a quel cane che senza saperlo l’avrebbe traghettata
lontano, verso una sponda di cui adesso era ignara, ma che ci sarebbe stata senz’altro
per lei, ne era sicura, pronta ad accoglierla.
Bruno
Magnolfi
Nessun commento:
Posta un commento