La signora
Maria era uscita di casa per andare a prendere l’autobus. Andava a far visita a
sua sorella, dall’altra parte della città, come da parecchio tempo faceva
almeno una volta alla settimana. I figli della signora Maria erano grandi, suo
marito sempre fuori al lavoro, lei poteva permettersi quei piccoli svaghi. Le
piaceva attraversare la città sui mezzi pubblici, osservare la gente che saliva
e scendeva dalle porte automatiche, guardare le case, i viali, le auto che
correvano fuori da quei finestrini, lasciandosi dietro la solitudine, la
tristezza dei giorni monotoni, il grigiore di anni in cui non si sentiva più
molto utile. Quella linea di tram che prendeva, passava anche davanti alla
stazione dei treni, con il suo flusso caotico di persone che correva da una
parte a quell’altra, poi proseguiva
verso il quartiere dove abitava sua sorella, già vedova, di quattro anni più
grande di lei. La città correva via dai finestrini quel giorno, forse più in
fretta che qualsiasi altra volta, e la signora Maria era incantata dietro ai
colori, alle forme, ai profili delle cose che le passavano sulla superficie
degli occhi senza lasciarle una traccia, un dubbio, un sospetto qualsiasi, e
quando si riscosse da quel leggero torpore, si rese subito conto che la strada
dove avrebbe dovuto discendere, era passata. Se ne accorse quando ormai era
tardi, la casa di sua sorella era già persa oltre le spalle, ma senza perdersi
d’animo, poco male, pensò: così decise di rimanere seduta ad aspettare che
l’autobus arrivasse al capolinea, e tornare poi indietro quando ripassava al
contrario per le medesime strade. Ma poi accadde qualcosa che inizialmente non
seppe spiegarsi: la gente dentro a quel tram era ormai poca, e la signora Maria
ad una fermata qualsiasi si alzò dal sedile e scese dall’autobus, senza un
motivo preciso, soltanto perché all’improvviso sentiva dentro a se stessa di
avere la libertà di una scelta del genere. Sul marciapiede guardò attorno a sé
senza riconoscere bene neppure dove fosse arrivata, e infine si incamminò
lentamente verso un giardino lì accanto, dove si vedevano delle panchine. Si
fermò, si mise ad osservare una piccola fontana che gettava dell’acqua in una
vasca rotonda, dentro a un’aiuola, senza riuscire ad avere pensieri coerenti,
che non fossero quell’incanto che improvvisamente provava per qualcosa anche di
così scioccamente comune, ma che per lei era come non avesse mai visto. Poi si
accorse che un uomo vicino la stava osservando, e lei con gesti veloci cercò di
sistemarsi meglio il vestito, di posizionare per bene al braccio la borsa, di
allontanare da sé l’interesse di quella persona. Ma quello le si fece ancora
più vicino, sempre scrutandola con un leggero sorriso rassicurante, giusto per
dirle: “…scusi se la guardo, non si preoccupi, non c’è niente che sia fuori
posto…”. La signora Maria si sentì colta nel vivo, le parve impossibile che i
suoi piccoli disagi fossero evidenti in quella misura. Si mosse di qualche
passo da lì, pensò in un lampo tutte le cose possibili, sentì nelle orecchie il
rumore dolce dell’acqua della fontana, e le parve che quell’acqua trascinasse
con sé i suoi pensieri. Intanto quell’uomo, così estraneo alla sua vita, quella
persona qualsiasi, incontrata per caso, per nulla vicino alle sue cose, si era
già disinteressato di lei, e si era seduto su una panchina aprendo un giornale,
accendendo una sigaretta, eliminandola dal suo campo visivo. La signora Maria
si avvicinò a lui a sua volta, si fermò davanti al suo giornale spiegato, e
senza una ragione precisa gli disse: “No; non ho niente che non debba andare,
non mi preoccupo; sono una persona come tutte le altre, non ho niente di
minimamente diverso: forse ho solo smarrito qualcosa, però adesso la devo
cercare, immaginavo fosse qui già arrivando, da qualche parte, in mezzo a
questi oggetti usuali, ed adesso ne sono sicura, così come son certa che presto,
molto presto, la troverò”.
Bruno
Magnolfi
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