Non
mi frega niente di te, avevo detto puntandogli un coltello alla gola. Lui
allora, pur continuando a tremare, aveva smesso per un attimo di supplicare e
di ripetere le solite frasi sulla famiglia e tutte le altre cose del genere, ma
aveva piagnucolato ancora qualcosa che io non mi ero neppure premurato di stare
a capire. Lo avevo in pugno, questo era il punto, quel maledetto signorino beneducato
dal colletto bianco e la cravatta era mio, lo dominavo, ci potevo praticamente
fare ciò che volevo.
Fin
da quando ero entrato là dentro, ero sicuro che niente sarebbe potuto andare in
maniera diversa, i clienti della banca non avrebbero avuto la possibilità
neanche di accorgersi di quanto stava accadendo, e per me essere riuscito a
cogliere il direttore della filiale da solo dentro al suo ufficio,
semplicemente prendendo un appuntamento telefonico con un falso nome
apparentemente importante, era stato un vero colpo di genio. Gli avevo subito
detto che il mio complice era in quello stesso momento nella sua abitazione, con
la sua famiglia, anche se non era vero, e lui se l’era bevuta, ed adesso non
poteva far niente, nient’altro che eseguire alla lettera tutte le indicazioni
che gli stavo impartendo.
Ecco,
proprio in quell’esatto momento, dopo la concitazione iniziale, si era
manifestato là dentro qualcosa che mi era parso perfino surreale, ed io, non so
come, all’improvviso mi ero sentito del tutto rilassato, quasi come se tutto ormai
fosse finito, che non ci fosse più nient’altro da fare, come se già fossi
lontano da lì, con i miei soldi infilati dentro alle tasche e nella mia borsa,
seduto magari in un rifugio in montagna, in pace e da solo, a godermi il sole
brillante, il panorama, la quiete di una giornata perfetta, che immaginavo pienamente
meravigliosa.
Non
mi ero accorto di niente, continuavo a sognare queste mie cose mentre il
direttore era lì, accanto a me, ormai ridotto al silenzio, quasi rassegnato
alla sua condizione, ormai in mio pieno potere. Gli avevo chiesto di andare a
prendere tutti i liquidi che riusciva a raggranellare, e lui, come un automa,
aveva subito ubbidito senza ribattere, quasi come affrettando tutti i suoi
gesti, tanta la voglia che anche lui doveva provare, di raggiungere velocemente
la fine di tutta quella faccenda, di riuscire a guadagnare di nuovo quella
tranquillità che nessuno doveva aver mai messo in discussione in tutta la sua
vita precedente.
Gli
avrei lasciato un segno col mio coltello ben affilato, un bel graffio profondo
sul corpo, forse sul viso, in evidenza, tanto per dimostrargli, prima di uscire
con tutti i miei soldi, che facevo sul serio, che non ero tipo da lasciarsi
prendere in giro. In un primo momento, quando lui era andato a raggiungere la
cassaforte, avevo pensato di mettermi dietro la porta, tanto per aspettare con
una certa cautela il suo ritorno con le mie banconote, ma poi avevo sorriso tra
me, sicuro di tutto, ed ero andato a sedermi dietro la sua scrivania, quasi a
fingermi, almeno per quell’attimo, un uomo d’affari, una persona importante, un
tizio pieno di soldi, come stavo sicuramente per diventare.
I
due agenti mi avevano spianato le pistole sul muso, una volta entrati di colpo
dentro l’ufficio, tanto da cogliermi così di sorpresa da non essere neppure
riuscito a muovere un muscolo. Il direttore non c’era con loro, in quella
stanza adesso c’ero soltanto io e quelle divise, e a me pareva impossibile che
tutto finisse così, in quella maniera da stupidi; per questo, in un attimo, con
tutta la forza che avevo, avevo affondato il mio coltello, che ancora tenevo
con la mia mano destra, nella carne del mio braccio sinistro, perché era quella
la punizione che mi meritavo, non ce ne poteva essere un’altra: tutto il resto
per me in quel momento cadeva completamente di qualsiasi interesse, come il
risveglio da un sogno, come scoprire un segreto che ti cambia la vita, come un
sipario che si chiude a teatro su una scena finita. Il resto, adesso, era soltanto una cosa di
altri.
Bruno
Magnolfi
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