Lei
sale sulla corriera con modi quasi consunti, guardandosi attorno in modo
sommario; prende posto sul sedile che le piace di più, accanto ad un finestrino,
e si sistema con calma proprio mentre il mezzo riparte. Ci sono molte persone a
viaggiare con lei, ma c’è qualcuno che prosegue ad osservarla con attenzione da
dietro, ne studia i dettagli, i piccoli gesti, probabilmente pronto a seguirla
appena scenderà da quella vettura. Lei, quasi per abitudine, estrae dalla borsa
un libro tascabile, ne cerca la pagina giusta, inizia a leggere, forse per
sentirsi lontano da lì. Scorrono i minuti e anche i chilometri della campagna,
intervallati da borghi di case: tutto scivola fuori dai finestrini, come la
pellicola di un film anche troppo realistico. Qualcuno sale ancora sul mezzo
pubblico, ma la maggior parte dei passeggeri, ad ogni fermata, sa che ormai è arrivata
a destinazione, considerata l’ora serale, e poco per volta la vettura si svuota.
Alle spalle di tutti, il tramonto segna di arancio quel panorama ordinario.
La
donna lascia che tutto prosegua, quasi indifferente alle abitudini che giornate
pressoché identiche hanno reso ormai priva di sensibilità; poi però ripone il
suo libro, osserva fuori, per un momento, gli ultimi sprazzi di luce prima che
la sera, tra pochi minuti, renda buio tutto quanto, e infine, con gesto
femminile, si sistema la gonna, chiude i bottoni del suo soprabito, sa che la
prossima fermata è la sua, si sente pronta per scendere. La corriera rallenta,
lei si alza, altri due o tre passeggeri si sollevano quasi contemporaneamente
dietro di lei. Tutti scendono il gradino di quel mezzo pubblico, uno dietro
l’altro, qualcuno saluta il conducente, il pendolarismo compie ormai l’ultimo
atto della giornata. La donna cammina sul marciapiede con passo svelto sopra i
suoi tacchi, qualcuno continua ad andarle dietro, sono poche le centinaia di
metri che la separano dalla sua abitazione, ma sufficienti per essere raggiunta
da una persona che continua a seguirla. Lei non si volta, prosegue imperterrita
a camminare, anche se avverte una presenza inquietante dietro di sé. Poi, alle
sue spalle, qualcuno dice netto e a voce bassa il suo nome.
Allora
si ferma, si gira di scatto, come ormai consapevole quasi di quel suo destino,
forse ha riconosciuto la voce, probabilmente la sua immaginazione ha già
formato una figura nella sua mente, e soltanto i suoi occhi adesso possono
darne conferma. I due si guardano, si osservano per qualche secondo, fermi, a
distanza di quattro o cinque metri; la luce di un lampione rischiara la scena.
Non c’è niente da dire, a lei spunta inarrestabile una lacrima, lui trattiene
con sacrificio tutte le parole che avrebbe da dirle; poi arretra di un passo, di
due; infine si volta, superando la sua volontà, lei non fa niente per cercare
di fermarlo. La nostalgia di un tempo passato è fortissima, ma non c’è alcun
significato nel cercare qualcosa che dia una variazione pur minima a quello
stato di cose.
Nessun
saluto, neppure un gesto, soltanto il vedersi per uno sparuto momento da soli,
alla fine di un giorno qualsiasi, come qualcosa che resti sospeso, un non
detto, forse neppure pensato, il coraggio della fantasia che si spinge più
avanti, oltre la concretezza di qualsiasi altra cosa, il senso di ciò che
sarebbe potuto avvenire, forse anche avvenuto davvero, ma in una dimensione
diversa. Infine il distacco, che resta la cosa più dolce e più dolorosa di
tutte: inarrestabile, eppure così forte da fermare il respiro.
Bruno
Magnolfi
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