Il vento adesso è
calato quasi del tutto; lei osserva qualcosa in fondo allo spiazzo, oltre lo
steccato del suo giardino, restando ferma sulla porta di casa, poi rientra con
calma e chiude il battente. Non c’è più nulla che sbatte nella rimessa sul
retro, se ne è accorta già dal primo mattino, eppure il silenzio di adesso le
sembra quasi peggiore di qualsiasi rumore molesto. Lo aspetta, continua ad
aspettarlo con tutta se stessa, ma non lo rivedrà prima di domani, ne è
cosciente, anche se all’improvviso le pare che quell’arco di tempo sia assolutamente
non definito, una misura forse grandissima, insopportabile, impossibile per lei
da accettare, come lasciare che tutto scorra in quel niente che continua a circondare
ogni cosa, anche in questo preciso momento.
Lo sa bene, non deve
pensare a se stessa, deve guardare la realtà assumendo un criterio più
distaccato, meno passionale ed egoistico, proprio come le ha detto a chiare
lettere il suo medico, eppure non riesce a togliersi da dosso quella vertigine
in cui oggi si sente precipitare, quel senso di vuoto incolmabile, quella
mancanza, quella sensazione di inadeguatezza che solo quando lui è lì, assieme a
lei, riesce per incanto ad attenuarsi. In fondo che importa, pensa di getto,
starmene qui da sola, oppure no: tutti quanti siamo sempre da soli, a meno che
non si riesca a lasciarsi coinvolgere da qualcosa che spesso neppure riusciamo
a comprendere, qualcosa che per sua natura ci porti via, via da tante
sciocchezze, lontano dalle solite cose.
Davanti alla casa lo
spiazzo desolato appare terribile, un luogo fatto di niente, di vuoto e
nient’altro, eppure, mentre ci pensa, lo trova quasi accettabile, come affascinata
da un posto che non è definito, che risulta ancora in cerca di una sua
identità, un luogo dove ogni caratteristica appare ancora da stabilire.
Seguendo quel pensiero ritorna, quasi incoscientemente, ad aprire la porta di
casa: lo steccato è da riverniciare, pensa, è evidente, forse si dovrebbero
piantare dei piccoli alberi, probabilmente anche dei cespugli, forse una siepe,
che costeggi il perimetro di tutto il giardino; ma che importa, riflette in un
attimo di scoraggiamento, tutto questo non ha senso se manca l’anima, la voglia
principale di far vivere le cose, di tenerle su in maniera corretta, definita, ben
fatta.
Osserva la terra
coperta di un bel manto erboso, laggiù, ai piedi della collina, dove in mezzo ad
una fila sparuta di alberi, scorre un rigagnolo d’acqua, e le pare una distanza
incolmabile tra lei e quella zona, come se, pur impegnando tutta se stessa, non
potrebbe in nessun caso riuscire a coprirla con i suoi passi; ciò nonostante
scende lentamente i gradini davanti alla porta, osserva con decisione il
sentiero che si snoda di fronte, e si incammina, come se fosse certa che solo
provandosi potrebbe essere sicura dei propri pensieri. Così va avanti, procede,
lascia alle spalle lo steccato quasi con un senso di liberazione, continua a
camminare al bordo del campo coltivato a granturco, come se la sua direzione
fosse ormai definita, irrinunciabile, come se seguisse un percorso ormai
stabilito.
Continua a fissare un
punto qualsiasi laggiù, dove prima ha visto qualcosa, e a camminare
imperterrita, conservando sulla sua faccia quasi un sorriso, come se il senso
di liberazione che prova mentre continua ad avanzare, fosse tangibile, qualcosa
a cui prima d’ora non era mai riuscita neppure a pensare. Vede lui, laggiù in
fondo, sopra la riva di quel rigagnolo, sa per certo che lo troverà ad
aspettarla, ma anche se questo non fosse, pensa, probabilmente non ha alcuna
importanza: sta a lei decidere adesso cosa trovare, ne è cosciente, non le
importa neppure avere lasciata aperta la porta di casa; il fatto essenziale è
esserne uscita, il resto le appare molto più marginale.
Bruno Magnolfi
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