lunedì 11 marzo 2013

Cattiva sorte.


            
            Avevo sentito giungere, dall’appartamento di fianco a dove abitavo, direttamente attraverso le pareti, diversi rumori forti e antipatici, come di trascinamento di mobili sui pavimenti, e la cosa mi aveva disturbato parecchio, in considerazione soprattutto dell’interruzione che ne era immediatamente derivata delle mie ordinarie meditazioni, tanto che quasi subito mi ero ritrovato quasi inconsapevolmente ad urlare qualcosa, e per più di una volta, verso qualcuno che non sapevo neppure chi fosse, non ottenendo peraltro nessun risultato, almeno in tempi brevi o ragionevoli. In seguito però si era fatto silenzio, e quel silenzio si era protratto praticamente per una parte della giornata, ma tutto in fondo era parso trovare soltanto una momentanea situazione di stallo, che io immaginavo avrebbe potuto tranquillamente degenerare da un attimo all’altro. Così era stato, difatti, e l’agitazione che aveva prodotto in me questa ripresa di incomprensibile confusione era stata tale da spingermi in fretta ad indossare la giacca e ad uscire da casa.
            Naturalmente ero rientrato molto più tardi, e purtroppo soltanto per rendermi conto che se anche l’appartamento era adesso immerso in un momentaneo e completo silenzio, i rumori di cui avevo subito l’attacco erano rimasti là dentro come nell’aria, pronti a scatenarsi di nuovo da un attimo all’altro. Il giorno seguente difatti, come peraltro avevo già immaginato ampiamente, i rumori d’improvviso avevano ripreso la loro consistenza, spandendosi in ogni stanza del mio appartamento senza che neppure fossi riuscito a stabilire da dove precisamente giungessero. Arrivai a mettermi disperatamente le mani sopra le orecchie, nel tentativo che il mio gesto servisse ad attutire il dolore profondo che provavo dentro di me. Già, perché quel disturbo pazzesco stava poco per volta diventando un vero e proprio dolore, quasi una malattia, praticamente uno squarcio sanguinolento nel mezzo del mio organismo. Ma con ogni evidenza a niente serviva ogni mio tentativo. Impossibile per me era suonare il campanello di qualche condomino nel tentativo di trovare la fonte dei miei disturbi, e così, dopo profonda riflessione, decisi che il mio compito sarebbe stato nient’altro che quello di sopportare la cattiva sorte a me capitata.
            Si susseguivano momenti di silenzio ad altri di insopportabile confusione, ma io, seduto nella mia poltrona di raccoglimento, cercavo in tutti i casi di fingere una quasi completa indifferenza. Infine tutto quanto parve trovare termine, lasciando purtroppo una nuova tregua armata dentro di me che pareva farmi ugualmente soffrire. Tanto che quel silenzio poco per volta mi parve quasi un’ironia, sicuramente un’assenza importante, laddove sentivo all’improvviso dentro di me quasi la necessità di quel pieno orchestrale che in varie riprese avevo precedentemente avvertito, forse anche per mostrare a me stesso la mia capacità di sopportazione. Appoggiavo adesso l’orecchio alle pareti e al portoncino del mio appartamento, arrivando perfino a sdraiarmi sui pavimenti per ascoltare le vibrazioni leggere che parevano giungere da quei solai. Ma niente, tutto si era come dissolto. L’agitazione che mi prese fu forte, mi pareva impossibile poter vivere adesso in quella maniera; così, quasi senza pensarci, tornai a prendere la giacca, nonostante l’ora di notte, e ad indossarla per uscire da casa: ero cosciente che non era più possibile per me restarmene ancora in quel vuoto completo, tanto che mi pareva di vivere adesso soltanto una perfetta astrazione.

            Bruno Magnolfi

             

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