Immagino
un ragno che si muova lentamente sopra questo davanzale, oltre i vetri della
mia finestra, e che tremi appena sulla sua tela, sotto la brezza leggera che
spira da oltre la fila di alberi in fondo. Il viottolo di fronte costeggia una
siepe ed affianca un fossato poco più avanti, alcune persone passeggiano in
quei pressi, senza alcuna fretta, quasi che il tempo insieme a quelle persone tendesse
a fermarsi.
Vorrei
raggiungerli, dire a tutti con voce concitata e gesti espressivi che mi
piacerebbe tanto essere esattamente come sono loro, parlare camminando lungo il
viottolo, e sentirmi sereno, in pace con tutto, uguale agli altri, ma invece proseguo
ad immaginarmi il ragno sulla finestra, ad intuirne il debole movimento, la sua
stupida attività, ed un gusto profondamente sgradevole mi assale sempre di più,
fino a farmi chiudere gli occhi, e a spingermi di nuovo nella mia solitudine.
Decido
che ne ho abbastanza di questa osservazione inutile della realtà, ed esco di
casa. Tira vento, mi stringo addosso la giacca, le mani sprofondate dentro le
tasche, il comportamento incuriosito da quel senso di instabile che mi
circonda. Non trovo niente di incoraggiante, comunque proseguo con i miei passi
incerti alla ricerca di qualcosa che non so definire. Incontro qualcuno per
strada, vorrei salutare quelle persone, fermarmi con loro, scambiare un segno,
un gesto, una semplice parola, ma percepisco indifferenza e così proseguo senza
neppure voltarmi.
Poi
rientro a casa, insoddisfatto di tutto, torno alla finestra ed il ragno è
ancora lì sul davanzale, che prosegue con i suoi lavori su quell’orribile tela
finissima e trasparente. Con fatica apro la finestra, i cardini rumoreggiano e
qualcuno dal viottolo si gira per osservarmi. Non c’è niente di male, penso,
nel rimanermene qui ad osservare qualcosa che mi scorre sotto gli occhi, quasi
per indolenza, senza che neppure ne abbia la minima voglia.
Mi
soffermo un momento come sovrappensiero, lascio che il vento mi smuova i
capelli, che mi accarezzi la faccia, poi a mano aperta schiaccio quel ragno
schifoso.
Bruno
Magnolfi
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