Non
avrei mai potuto scegliere di stare in una città piccola. In un posto così in
poco tempo ti conoscono tutti, ti tengono sott’occhio, non ti fanno sentire
libero di scegliere niente, perché subito quella gente ti guarda, e magari si
da pure di gomito. In una metropoli invece puoi perderti. Nessuno si interessa
di quello che sei, nessuno si preoccupa se ti fai vedere in un posto oppure in
un altro, e tu puoi fare esattamente quello che ritieni più giusto per te.
Certo,
ci sono i suoi inconvenienti. La polizia non ti permette di dormire tranquillo
se ti piazzi in qualche angolo della grande stazione ferroviaria, per esempio.
E poi se scopri un posto dove ti offrono qualche bella minestra calda,
sicuramente devi fare dei chilometri per andare fin lì. Devi essere scaltro in
una città, astuto, perché ci sono anche i ladri di niente che in un attimo ti
fanno fuori anche una vecchia coperta bucata, o un paio di scarpe sfondate,
figuriamoci la roba buona.
Gli
altri, quelli che girano per la città tutto il giorno, proprio come fai tu, non
ti danno mai un’informazione che sia giusta, è come se per loro dovessi in
qualche modo guadagnartela, anche poco per volta, come fosse la fiducia, o l’amicizia,
o qualcos’altro del genere. Così io me ne sto sempre da solo e fuori dal giro, mi
trovo sempre dei posti tranquilli di periferia e rimango lì, senza preoccuparmi
di niente, come uno che si fa i fatti propri e questo gli basta. Poi però
arriva un tipo dell’associazione e dice subito un sacco di cose che neppure mi
riguardano.
Mi
alzo da dove mi trovo, mi sposto, senza replicare con una sola parola, ma
quello mi segue, dice che è lì soltanto per aiutarmi e altre stupidaggini del
genere. A gesti gli faccio capire che non è nei miei scopi stare dietro a cose di
quel tipo, ma quello mi bracca, mi tiene stretto con un sacco di discorsi senza
che io abbia possibilità di far niente. Poi mi dà un foglio con su scritti una
serie di numeri e di informazioni, dice che domani sarà in giro di nuovo, di
farmi trovare, avrà qualcosa per me, mi spiega. Rimango solo, penso che dovrò
cambiare cuccia almeno per qualche tempo, ma poi penso ad altro e mi dimentico anche
di questa idea.
Il
giorno seguente quello ritorna, e ci sono anche degli altri con lui. Dicono che
possono aiutarmi, portarmi di qui oppure di là, darmi dei soldi, dei buoni
pasto, indirizzi dove andare a dormire, e tante altre cose del genere. Li
lascio dire, loro non si rendono conto che la vita è complessa, non puoi
permettere che arrivi uno che neppure conosci per permettergli di cambiare ogni
cosa della tua giornata. Ci sono delle priorità, delle abitudini, dei piccoli
modi di essere a cui sei legato, non può certo arrivare uno qualsiasi e
proporti il numero dello sfigato del giorno.
Alla
fine mi fanno arrabbiare, insistono, sembra che per loro sia una questione
fondamentale, e la loro associazione pare sia nata proprio per me, anche se io
continuo a dire che a me non interessa esattamente un bel niente: voi volete
che per farvi piacere diventi qualcosa che non ho mai sognato di essere, dico
loro; sono uno povero, uno che gira per strada, che non ha molti mezzi oltre
due spiccioli per un bicchiere di vino ogni tanto, ma fino a quando non entrerò
nelle vostre liste non sarò mai davvero un barbone, ficcatevelo nella testa, è
solo questo il punto essenziale.
Bruno
Magnolfi
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