giovedì 21 marzo 2013

Meditazioni sul niente. 6.


            
            Ancora prima di giungere a destinazione immagino già tutti pronti ad accogliermi con le loro critiche, i loro finti sorrisi, la loro maniera di non condividere niente dei miei comportamenti. Normalmente penso molto a ciò che cerco di fare, e mi interrogo in modo intenso su tutto ciò che viene fuori dalla mia testa, fino a convincermi che quello che decido spesso è la cosa migliore da fare per me, ma immancabilmente trovo sempre qualcuno disposto a spiegarmi che al contrario da ciò in cui ripongo la mia fiducia, decisamente ho ancora sbagliato.
            Così salgo sui mezzi pubblici guardandomi attorno alla ricerca di qualcuno almeno vagamente accondiscendente, magari con una faccia aperta, con un’espressione disposta ad accogliere se non altro una parte dei miei pensieri. Scusi, chiedo a volte a qualcuno; non riesco a capire su quali scelte posso ancora fare forza, lei non potrebbe aiutarmi, darmi un parere? Lei fa domande troppo difficili, rispondono alcuni; altri iniziano a spiegarmi che i miei errori sono evidenti, ed è del tutto inutile insistere.
            Eppure cerco soltanto di spingere avanti le cose in cui credo, lottare per quelle medesime cose, perseverare, ed è questo che tutti mi hanno sempre insegnato, non capisco dove stia il grave problema. Torno a lasciarmi trasportare dai mezzi pubblici, incontro persone che sembrano distanti da me, dalla mia maniera di porre le cose. Chiedo ad una signora se ci possa mai essere un’intesa tra le nostre differenti maniere di essere; mi viene risposto che io non so stare al mio posto, che c’è necessità di usare un’accortezza che purtroppo è probabile non abbia mai appreso.
            Qualcuno mi urla da dietro che il mio è soltanto il comportamento del perfetto egoista, colui che pensa soltanto a se stesso, senza preoccuparsi di altro. Non so che cosa pensare, così mi concentro soltanto per tornare il più presto possibile a casa, dove forse mi aspettano i miei familiari. Sembra che niente sia destinato a cambiare, penso; pur con il mio desiderio profondo di porre in primo piano le questioni che dominano la mia giornata, so già per certo che tutto si presenterà nella stessa maniera di sempre, e le mie aspettative decadono, o almeno si mostrano sempre più deboli.
            L’autista del tram mi dice che il suo percorso è preciso, con tanto di orari e fermate ben definite, io annuisco, forse lo invidio. Lascio che il mezzo mi trasporti esattamente dove vuole, penso di perdere sempre di più l’idea di una meta precisa verso cui dirigermi, ma torno a riflettere sulla volontà di rientrare come ogni giorno nella mia casa, ritrovare un luogo che in qualche maniera mi assomiglia, dove posso addirittura pensare di stare a mio agio, perfettamente. L’autista scuote la testa e non replica niente, anche se è evidente che non è d’accordo con me.
            Lascio che il silenzio mi avvolga, anche se il brusio dei miei pensieri è palese: tra poco sarò a destinazione, penso, mi sento colmo di fiducia, tra un attimo saprò se le mie aspettative saranno state giustificate, se qualcuno dei miei familiari sarà adesso disposto a stare dalla mia parte. Scendo dal mezzo, salgo le scale del condominio, inserisco la chiave nella serratura, apro e immediatamente mi accorgo che niente è cambiato, tutto è esattamente com’era, e i miei familiari hanno scelto di nuovo di non condividere niente con me: è tutto inutile, penso, tanto vale mi faccia paladino di questo mio isolamento.      

            Bruno Magnolfi

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